Cosa sono i generi musicali? Quali sono i criteri di distinzione? In questo articolo ripercorriamo le principali teorie e approfondiamo la questione del genere oggi, delle sue proprietà e funzioni.
Secondo la definizione generale che è possibile leggere su Wikipedia: “un genere musicale è una categoria convenzionale che identifica e classifica i brani e le composizioni in base a criteri di affinità. Le musiche possono essere raggruppate in base alle loro convenzioni formali e stilistiche, alla tradizione in cui si inseriscono, allo spirito dei loro temi, alla loro destinazione o, se presente, al loro testo. L'indeterminatezza di alcuni di questi parametri rende spesso la divisione della musica in generi controversa e arbitraria. Un genere musicale può a sua volta dividersi in sottogeneri”.
La definizione appena citata esplicita la problematicità della classificazione in generi musicali in quanto il criterio ordinante è quanto mai fluttuante e molteplice andando da un certo tipo di scrittura musicale a determinate sonorità fino a specifiche forme e metodi per fare musica o strumentazione solo per considerare alcuni degli aspetti in gioco, dal momento che questi ultimi possono dare vita ad altri insiemi nati dalla combinazione delle possibilità elencate.
A conferma della problematicità cui si accennava, si possono registrare i vari criteri dirimenti via via introdotti per definire una classificazione dei generi musicali univoca. Si può citare, a riguardo, una categorizzazione per epoche storiche, per aree geografiche, sulla base della funzione sociale. Vincenzo Caporaletti ha introdotto come criterio ordinatore il cosiddetto "medium formativo", ovvero l'interfaccia (ambiente cognitivo) con la quale l'autore forma l'opera. Alla luce di questa teoria, è possibile ricondurre le diverse tipologie musicali in tre grandi generi: musiche di tradizione scritta europea, musiche di tradizione orale e musiche audiotattili (quali il jazz, il rock, il pop ..). Le ultime adottano il "principio audiotattile" e si trasmettono attraverso il mezzo di registrazione e riproduzione fonografica.
Un altro approccio nato in ambito accademico assimila i generi a elementi come la forma distinguendo le diverse composizioni musicali sulla base di come si presentano. Nel suo volume Form in Tonal Music, Douglass Marshall Green, ad esempio, distingue all’interno della musica rinascimentale diversi generi quali quello del mottetto, della canzona, del madrigale, del ricercare e della danza. Prendendo come riferimento il modello di classificazione proposto da Green il Rondò in la minore di Mozart e il suo Agnus dei dalla Messa dell'incoronazione sono differenti nel genere, ma molto simili nella forma, mentre il Concerto per violino e orchestra di Beethoven e quello di Mendelssohn sono identici nel genere – entrambi sono concerti per violino – ma differenti nella forma, ovvero nell'architettura.
Altri studiosi come Peter van der Merwe propongono una definizione di genere che coincide con quella di stile categorizzando le diverse tipologie di brani a partire da un "linguaggio musicale di base". Per altri studiosi come Allan F. Moore il concetto di stile deve essere tenuto distinto da quello di genere e non può essere, di conseguenza, assunto come criterio ordinatore.
Una delle distinzioni più ampiamente accettate è rappresentata dal cosiddetto triangolo assiomatico teorizzato dal musicologo Philip Tagg. Tag sostanzialmente fornisce come criterio fondamentale per orientarsi all’interno dei generi musicali la divisione tra musica colta, musica tradizionale e popular music. Si tratta di tre macro categorie ognuna piuttosto ampia all’interno delle quali è possibile far confluire brani appartenenti a diverse epoche storiche e forme musicali.
Ad esempio la sonata, il concerto, l’opera, lo strutturalismo, il minimalismo appartengono tutti, pur nel loro evidente carattere eterogeneo, all’ambito della musica colta, caratterizzata, in Occidente, dalla tradizione musicale scritta che richiede da sempre una istruzione musicale.
Allo stesso modo, le diverse musiche etiche trasmesse oralmente e i canti popolari rientrano all’interno della musica tradizionale o folclorica intesa come una musica tramandata, per l’appunto, oralmente e strettamente attinente a un ambito musicale sociale e\o comunque legato ad abitudini e consuetudini locali svincolate dalla capacità creativa del singolo musicista inteso esclusivamente come semplice portatore della tradizione.
Rientrano, infine, nella popular music tutti quei generi dal punk al pop, dal noise alla musica politicizzata, accessibili ad un pubblico generalista e largamente divulgati dai mass media.
Quest’ultimo genere musicale è quello che viene trasmesso dalla stazioni radio, come musica di sottofondo negli spazi commerciali, che si ritrova nelle colonne sonore di film e telefilm. Nel caso della popular music si parla di classifiche di vendita e in essa oltre al compositore, all’autore e al cantante, svolge un ruolo centrale, in maniera molto più significativa che negli altri macrogeneri, la figura del produttore musicale.
Anche questa classificazione dei generi musicali non è esente da critiche e rilievi come quelle mosse da Richard Middleton. Per quest’ultimo la distinzione tra musica colta, tradizionale e popular risulta alquanto indefinita e con molti punti di contatto tra le categorie che non consentono una reale rigorosa distinzione. Scrive Midddleton: “Le divisioni ordinate tra "folk" e "popular", e tra "popular" e "colto" sono impossibili da trovare... Criteri arbitrari sono usati per definire ciò che è "popular". La musica "colta" da esempio, è generalmente considerata come complessa e difficile; mentre la musica "popular" è generalmente definita come semplice, accessibile e facile. Ma molti brani comunemente pensati come "colti" ('Hallelujah Chorus' di Hendel, molte canzoni di Schubert, molte arie di Verdi) hanno la qualità della semplicità; al contrario, non appare così chiaro che i dischi dei Sex Pistols' siano 'accessibili', i lavori di Frank Zappa 'semplici', oppure quelli di Billie Holiday 'facili'”.
Un altro rilievo che si potrebbe muovere a Tagg è il modo tradizionale di intendere la musica con le distinzioni tra musica scritta e non, secondo gusto e mercato, movimenti e periodi dando sostanzialmente un ruolo preminente a strumentazione e forma.
Approfondendo la questione si può osservare come scrive Simone Bianco: “1) anticamente i generi musicali servivano a indicare cosa si stava per ascoltare (quartetto, sinfonia, valzer, mazurca, aria, sonata etc…) mentre oggi i generi musicali indicano anche il tipo di sonorità che si pone all’orecchio (metal, elettronica, dub, trap, ambient etc…) ovvero, eccettuati casi molto particolari come la musica da ballo che ha necessità pratiche, il genere non spiega più come è strutturata la musica e il discorso musicale ma ti indica come esso suoni o appaia all’ascolto.
2) I generi musicali, oggi, spesso sono troppo generici e quindi al loro interno contengono altri generi musicali (così via ad infinitum) i cui confini sono sempre più labili e richiedono un orecchio allenato per coglierne la sottile differenza. A volte addirittura basta una venatura nazionale per rendere una musica, anche connotatissima, un genere a parte per gli ascoltatori. Prova di ciò ne è il boom di generi musicali apparsi all’improvviso (e tutt’ora in aumento) dagli anni ’50 a oggi (più di 300, senza contare che molti generi appaiono e poi non hanno seguito e altri a loro volta si ibridano tra loro creando potenziali indefiniti di connotazione e generazione)” (cfr. webradioitaliane.it).
Alla luce di quanto appena detto, si può affermare che i generi musicali non individuano solamente diverse tipologie di brani ma veicolano, in quanto medium autopoietico, una serie di informazioni che raggiungono il destinatario ancora prima dell’ascolto vero e proprio. In quanto medium il genere è in grado di plasmare la cultura musicale, questo perché il genere contiene al suo interno quegli elementi caratterizzanti che lo definiscono come tal e che l’ascoltatore è in grado di riconoscere e distinguere come necessari.
Conclude a riguardo Bianco: “Questo è un procedimento di apprendimento quasi orale dove ascoltando e riproducendo l’ascoltato si creano zone culturali definite dove le regole sono implicite e divengono esplicite solamente quando il medium inizia a cambiare troppo radicalmente dalla matrice originale, ed è così che a esempio nascono le divisione tra un genere madre Jazz e i suoi derivati, a volte anche molto differenti, come lo swing, il free, il fusion etc etc…
Questo panorama ovviamente è ancora in pieno sviluppo e ampliamento, tuttavia già oggi sono riscontrabili fenomeni di “specializzazione” nei vari settori musicali (a volte persino dei sottogeneri e dell’underground) e fenomeni di “eclettismo” tra gli stessi, il cosa comporterà ciò è ancora difficile dirlo”.