Dai Led Zeppelin a Bob Dylan la storia del rock è piena di abbagli critici clamorosi. Qui proponiamo una rassegna dei più incredibili giudizi stroncatori e ferocemente negativi riservati a quelli che oggi appaiono come dei mostri sacri della storia musicale recente.
Può succedere che un’opera musicale destinata ad entrare nella storia e ad essere indicata successivamente con unanime consenso come un capolavoro alla sua uscita venga sbrigativamente liquidata e misconosciuta. Nondimeno appare curioso il fatto che tali sviste si siano ripetute con una certa frequenza e ad opera di critici di vaglia, persone, cioè, sul cui fiuto e capacità di discernimento non dovrebbero esserci dubbi. La storia del rock ci propone una serie di clamorose sviste in tema di recensioni musicali che hanno letteralmente stroncato sul nascere lavori iconici di artisti della levatura di Bob Dylan, Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Pink Floyd, Beatles, Rolling Stones e tanti altri.
Vedremo di seguito alcuni casi eclanti che potrebbero aprire un dibattito sullo statuto della critica d’arte in generale e musicale in particolare, anche se il giudizio di un genio conclamato come Frank Zappa sembra essere abbastanza definitivo, allorché definì i critici: "persone che non sanno scrivere, che intervistano persone che non sanno parlare, per un pubblico che non sa leggere".
Se non si vuole essere così tranchant, si potrebbero giustificare alcune di queste cantonate con il fatto che, per definizione, l’arte, quella autentica, è in grado di anticipare il gusto e precorrere i tempi e la critica che dei tempi, invece, è espressione diretta spesso è disarmata e costretta ad arrancare. Per fortuna il rock non ha mai molto amato il pensiero unico e non ha mai negato alle voci che cantano fuori dal coro, anzi in alcuni casi soprattutto a questo genere di voci, uno spazio di espressione.
La rivista Rolling Stone, una delle bibbie del rock, a proposito dell’album d’esordio dei Led Zeppelin scrisse: “L’ultima blues band inglese non dice niente che la sua band gemella, il Jeff Beck Group non abbia già detto meglio non più tardi di tre mesi fa”. La recensione proseguiva invitando la band a “trovarsi un produttore e del materiale in grado di valorizzare i loro singoli talenti". Anche se di talento il recensore ne scorgeva ben poco dal momento che Robert Plant, nella stessa recensione, fu definito "frivolo come Rod Stewart, ma nemmeno lontanamente altrettanto eccitante". Nel 2003 il periodico statunitense ha fatto ammenda inserendo l’album al 29esimo posto nella classifica dei 500 album fondamentali del rock and roll.
Altra vittima insospettabile dei giudizi di Rolling Stone è un autentico monumento della storia della musica come Wish You Were dei Pink Floyd. Per la rivista il gruppo non fa altro che manipolare i soliti tre accordi che qualinque bar band riuscirebbe a riprodurre senza alcuna difficoltà. La title track? Buona finché non entra la band. Shine On? Potrebbe parlare del cognato di Roger Waters che prende una multa per sosta vietata.
White album rappresenta una delle vette incontestabili della produzione dei quattro di Liverpool, un album pieno di sfumature e contrasti che contiene la musica più selvaggia, strana, più sperimentale e geniale nella carriera della band. Alla sua uscita non pochi fecero fatica a comprendere la portata di questo lavoro, tra questi il critico del New York Times Nik Cohn che lo definì "noioso oltre ogni immaginazione", con una buona metà delle canzoni presenti in scaletta "profondamente mediocri".
Come mediocre fu liquidato anche Beggars Banquet dei Rolling Stones nientemeno che dal Melody Maker, il più antico settimanale musicale del mondo e uno dei più autorevoli. In questo caso, bisogna sottolineare che molte riviste specializzate dedicarono recensioni osannanti all’album contenente brani iconici come Sympathy for the Devil e Street Fighting Man, la rivista rivale del New Musical Express accolse con freddezza inusuale questo disco dei Rolling Stones rilevando un squilibrio all’interno della formazione a favore di Mick Jagger.
Oggi è un premio Nobel per la letteratura ma nel 1969, all’uscita del suo lavoro intitolato Nashville Skyline, Bob Dylan dovette fare i conti con il severo giudizio espresso da Ed Ochs sulle pagine di Billboard che disapprovava il menestrello di Duluth considerandolo ormai "un uomo arrivato, che arrossisce come se ogni giorno fosse San Valentino".
Tutt’altro che lusinghiero anche il giudizio riservato a The Boss da Robert Christgau in un articolo comparso su Village Voice. Recensendo in maniera non benevola Darkness on the Edge of Town uscito nel 1978 l’estensore delle righe ad un certo punto si pose un perfido quesito interrogandosi se Springsteen fosse “un importante artista minore o uno scadente e inconsistente artista di prim'ordine".
L’affilata e improvvida penna di Robert Christgau ha continuato a mietere vittime illustri anche recensendo quella sorta di testo sacro del rock che è l’album Back in Black degli AC/DC, a proposito del quale non si peritò di scrivere: "Johnson canta come se avesse un pungolo elettrico attaccato alle palle: la cosa ideale per i fan indecisi se il loro ritrovato testosterone sia estasi o agonia".
Berlin di Lou Reed rappresenta una delle opere rock più introspettive ed emotive mai pubblicate, entrata di diritto nella storia della musica, ma neanche questo capolavoro assoluto è riuscito a passare indenne dalle forche caudine della critica. Stephen Davie, ad esempio, scrisse una recensione che voleva essere tombale sulla carriera dell’artista statunitense: “Berlin di Lou Reed è un disastro, che porta l'ascoltatore in un demi-monde distorto e degenerato di paranoia, schizofrenia, degrado, violenza indotta da pillole e suicidio. Ci sono alcuni dischi che sono così palesemente offensivi che si desidera prendersi una sorta di vendetta fisica sugli artisti che li perpetrano. L'unica scusa di Reed per questo tipo di esibizione può essere solo che questa è stata la sua ultima occasione in una carriera un tempo promettente. Arrivederci, Lou”.
Jon Landau, che anni dopo sarebbe diventato il manager di Bruce Springsteen, nel 1967 era ancora uno dei critici musicali di Rolling Stone. Recensendo il fondamentale Are You Experienced di Jimi Hendrix il giornalista, pur riconoscendo il talento esecutivo del musicista, stroncava senza appello il suo modo di cantare e la sua scrittura con particolare riferimento ai testi definiti, senza mezzi termini, vacui, mentre l’intero album venne liquidato come “un disco inesorabilmente e non artisticamente violento”.
Per unanime giudizio, oggi, The Unforgettable Fire è considerato uno dei capolavori degli U2, che segnò al contempo la consacrazione dello stile di Bono e compagni e una fase nuova della loro esperienza musicale. A proposito di questo disco, il critico Kurt Loder su Rolling Stone scrisse lapidario e definito questo giudizio: "Gli U2 [in 'The Unforgettable Fire'] si sfaldano fino quasi a scomparire: il loro fuoco è arginato da una produzione sbagliata e da intermezzi di fradicia e inconcludente autoindulgenza".
Pubblicato il 2 ottobre del 2000, Kid A rimane il momento decisivo nella leggenda dei Radiohead e l’apice del loro genio, un’opera che guarda al futuro e induce alla miopia critica più di una firma di grande prestigio. Mark Beaumont del Melody Maker scrisse: "Grasso, pomposo, autocompiaciuto, tipo 'guarda mamma, riesco a succhiarmi il cazzo da solo', lamentoso: è vecchia spazzatura. Possibile che i Radiohead abbiano superato i limiti della sperimentazione rock senza accorgersi di essersi semplicemente accomodati nei solchi già tracciati molto prima di loro da gente come Dj Shadow e Brian Eno?". Sul New Yorker Nick Hornby dedicò a Kid A queste taglienti parole: "la prova di come l'autoindulgenza si concretizzi in una bizzarra forma di anonimato, piuttosto che in qualcosa di originale".