Il pentagramma può contenere un numero limitato di suoni mentre la gamma di registri di strumenti e voci spazia dai suoni più gravi ai più acuti, per questo si rese necessaria l’istituzione del setticlavio che era l’insieme dei sette registri che formavano le sette parti del coro classico. In questa lezione ne spieghiamo la composizione e il funzionamento, essenziale per la lettura musicale.
Si definisce setticlavio il complesso delle posizioni occupate sul pentagramma dai segni detti chiavi, al fine di indicare, nella moderna notazione occidentale, l’altezza delle note.
I tre segni di chiavi, chiave di Sol, chiave di Fa e chiave di Do, designanti rispettivamente le note Fa, Do e Sol collocate su questa o quella linea del pentagramma, fissano su di essa la nota che funge da riferimento a tutte le altre. Le sette collocazione in uso, costituenti il setticlavio, vengono chiamate a loro volta chiavi e precisamente di violino o canto, di soprano, di mezzosoprano, di contralto, di tenore, di baritono e di basso.
Il setticlavio è stato in uso fino ad un secolo fa e designava i sette registri che formano le parti del coro classico. Ancora studiato nei conservatori, nella pratica le “parti di soprano, mezzo soprano e contralto si scrivono in chiave di violino, la parte di baritono e di basso si scrivono in chiave di basso. Per la parte di tenore si usa la cosiddetta chiave di violino "tenorizzata", ovvero una chiave di violino accompagnata da un segno atto ad indicare l'esecuzione nell'ottava inferiore” (cfr wikipedia).
Ancora nella pratica strumentale viene utilizzata la chiave di contralto per strumenti come la viola o il trombone contralto o la chiave di tenore in uso come chiave ausiliaria per il trombone, contrabbasso, fagotto, controfagotto, violoncello.
Per poter comprendere appieno la funzione del setticlavio bisogna partire dal concetto di registro inteso come estensione melodica, cioè come una specifica gamma di altezze appartenenti ad uno strumento o ad una voce. Ad esempio, contrabbasso e baritono appartengono ad un registro grave, soprano e sax soprano ad registro decisamente più acuto.
Ora, come sappiamo il pentagramma è costituito solo da cinque linee e quattro spazi che sono un numero assai limitato per poter contenere tutte le variazioni di registro dal più grave al più acuto, come sa chi leggendo in una qualsiasi chiave incappa nei cosiddetti tagli addizionali, quei frammenti di linee che si aggiungono al pentagramma per indicare una nota che supera al grave o all’acuto i limiti del pentagramma stesso. Una scrittura con troppi tagli addizionali collocherebbe alcune note in una posizione scomoda che impedirebbe una lettura fluida e agevole.
Questo problema è stato ovviato proprio con l’introduzione del setticlavio che, che trasportando le tre chiavi di do, sol e fa, permetteva a ognuna delle sette voci del coro classico di leggere in modo chiaro (senza troppi tagli addizionali).
I sette registri in cui si divide il setticlavio sono riconducibili a tre chiavi fondamentali, come anticipato nelle definizione, quella di Sol, quella di Do e quella di Fa, quest’ultime, come vedremo, si suddividono a loro volta, in diverse sottochiavi.
La chiave di Sol, detta anche chiave di violino o di canto, è sicuramente la più conosciuta e più utilizzata del setticlavio, essendo la chiave di riferimento per molti strumenti come ad esempio il pianoforte, il flauto, il clarinetto, il violino e la voce, da cui anche il nome chiave di canto.
Proprio il suo largo e universale utilizzo fa sì che la questa chiave sia solitamente la prima ad essere studiata nell’apprendere i primi rudimenti di teoria musicale.
La chiave di violino non possiede sottochiavi e posta all’inizio della partitura indica, nello il Sol posizionato sulla seconda riga del pentagramma. Fissata questa nota è possibile ricavare la posizione di tutte le altre.
Molto utilizzata anche la chiave di Fa nella qual leggono, ad esempio, il violoncello, il trombone, il contrabasso, il fagotto e la mano sinistra del pianoforte la cui mano destra legge, come abbiamo visto in chiave. Le due chiavi, infatti, usate insieme, con una linea del Do fra i due pentagrammi, costituiscono l'endecalineo, il sistema di notazione usato dai pianisti.
La chiave di fa possiede due sottochiavi:
chiave di basso che indica la nota Fa posta sulla quarta linea del pentagramma;
chiave di bartitono che indica la nota Fa posta sulla terza linea del pentagramma.
Saranno i due puntini del simbolo che posti sopra e sotto una o l’altra linea individueranno i due registri differenti.
La terza e ultima chiave fondamentale del setticlavio è quella di Do la chiave di Do che fissa la posizione del Do centrale del pianoforte, o Do3, sul pentagramma.
La chiave di Do individua, a sua volta, quattro registri e si divide in altrettanti sottochiavi: di soprano, di mezzosoprano, di contralto e di tenore.
In base al registro di riferimento la chiave di Do, in particolare la sua parte centrale. viene poggiata su un rigo differente:
nella chiave di soprano (usata dalle cantanti con questo timbro di voce) sul primo rigo;
nella chiave di mezzosoprano (usata dalle cantanti con questo timbro di voce) sul secondo rigo;
nella chiave di contralto (usata dalle viole e dal contralto) sul terzo rigo;
nella chiave di tenore (usata dal fagotto, dal trombone, dai violoncelli e dal tenore) sul quarto rigo.
Forniamo di seguito uno specchietto riassuntivo.
I segni e i nomi stessi delle chiavi che compongono il setticlavio derivano dalle lettere G, F e C che indicavano queste note nell’antica notazione alfabetica che precede la riforma operata nel corso del X secolo da Guido D’arezzo (che, oltre a introdurre gli attuali nomi delle note, modificò, tra l’altro, anche il punto di partenza della scala, non più il La ma il Do).
Dall’alterazione della lettera dell’alfabeto gotico G deriva la chiave di violino, dall’alterazione della lettera F la chiave di Fa e, infine, dall’alterazione della lettera G la chiave di Do.