Riprendiamo e completiamo la definizione, già avviata in precedente articolo, degli elementi di base relativi a quella che, con parallelo con le lingue parlate, abbiamo definito grammatica musicale. In questo articolo si approfondiscono aspetti come le indicazioni di ritmo, durata delle note, legature, accenti e volume.
Per una notazione completa della musica ci serve ancora un qualche tipo di notazione per descrivere un’altra caratteristica di fondamentale importanza: il ritmo. Se ci si pensa un momento, l’alternanza di suoni, anche delle stessa altezza e durata, è già musica, basta che i suoni si susseguano ad intervalli che si ripetono in un modo a noi percepibile come tale. Pensiamo ad esempio al battere delle mani intervallato da pause di diversa durata, o allo schioccare o tamburellare delle dita.
Un altro esempio è il karaoke, è sufficiente leggere le parole di una canzone allungando le vocali (cantare, in altre parole) ma rispettando i tempi di inizio di ogni parola, ed ogni persona o quasi (tranne i casi disperati) sembra un interprete di una canzone. Ed è così, altrimenti il karaoke non avrebbe avuto l’epidemico successo che ha avuto.
Cosa serve quindi per descrivere il ritmo? Un sistema per definire la durata di ogni suono (di ogni nota), un sistema per descrivere le pause tra le note, che come si è visto nella musica sono altrettanto importanti dei suoni, un sistema per raggruppare gli insiemi (i grappoli, i cluster) di note e suoni. Perché un altro elemento fondamentale della musica è la ripetizione.
Il primo sistema si chiama valore della nota (sarebbe quindi la durata del suono). Ovviamente anche in questo caso i valori potrebbero essere infiniti ma, come per l’altezza delle note, si usa un sistema relativo ed una scala discreta di valori, basata nel caso più semplice sul numero due. Dal valore base (ad esempio una nota che vogliamo duri un secondo, ma che potremmo anche far durare un qualsiasi altro lasso di tempo) si ricavano con una divisione per due le altre durate, che saranno quindi sottomultipli della principale. Così il secondo valore sarà la metà del primo, il terzo un quarto e così via. E lo stesso per le pause.
Combinandoli assieme si potranno avere non infinite, ma moltissime combinazioni, sufficienti sicuramente per comporre tutta la musica occidentale “tonale” che conosciamo.
Nelle partiture usate nei libri di base di teoria musicale sopra le note compaiono a volte dei numeri. Non è una diversa e più semplice notazione. E' semplicemente il suggerimento sulle dita che devono essere usate per suonare quelle note. Perché ovviamente potremmo scegliere qualsiasi delle nostre 10 dita per suonare un tasto sulla tastiera del pianoforte. Ma, tenendo conto che vorremmo evitare di intrecciare le mani o che dobbiamo tenere conto che una delle dita (il pollice) ha caratteristiche diverse dagli altri, esiste una tecnica razionale anche per la scelta della migliore combinazione di dita da usare, che si chiama, ovviamente, diteggiatura. Per questo sono numerate a partire dal pollice (1) sino al mignolo (5), con gli stessi numeri per la mano destra e per la mano sinistra. La sequenza delle note partendo dalle stesse dita è quindi opposta per le due mani.
Come al solito lo sviluppo storico della notazione musicale ha dato a questi diversi valori nomi abbastanza particolari e notazioni solo in parte razionali. Ma anche chi ha fatto musica alla scuola media ricorda, forse:
la semibreve, il valore base (e la breve? c’era, ma è caduta in disuso)
la minima, che dura la metà di una semibreve
la semiminima, che dura la metà di una minima ed un quarto della semibreve
la croma, che dura la metà di una semiminima
e così via con la semicroma, la biscroma e la semibiscroma, che dura un 64esimo di una semibreve
In totale sono 7 possibili valori (come le note, ma un tempo se ne usavano altri 2, uno sopra la semibreve (la breve accennata prima) e uno sotto la semibiscroma, e quindi erano 9, come le note che si possono scrivere nel pentagramma). Nella figura che segue sono indicati i diversi simboli usati per indicare le note dalla semibreve alla semibiscroma, per una nota singola; nelle composizioni più semplici e comuni sono usate comunque quasi solo la minima, la semiminima e la croma, più raramente la semibreve e la semicroma.
Per ampliare la possibilità di descrizione delle durate esiste poi una ulteriore rappresentazione, un semplice punto che si aggiunge ad un valore per estenderlo della sua metà. In altre parole una minima più un punto dura come una minima + una semiminima, ovvero ¾ di una semibreve, e così via per avere molte altre combinazioni.
Come si riconoscono i diversi valori quando vogliamo scriverli sul pentagramma? In modo molto semplice come abbiamo visto, con una forma diversa per ciascuno di essi (sia per le note sia per le pause), per un totale di 14 diverse forme da imparare a memoria (non troppe, tutto sommato) come si vede nella figura precedente. Le ultime 4 peraltro, da ⅛ in giù, molto facili da ricordare perché caratterizzate da un numero da 1 a 4 di “stanghette” sia per le note sia per le relative pause.
E la stanghetta che, a partire dalla semiminima in poi, è rivolta verso il basso o verso l’alto, ha un diverso significato? No, è solo un fatto estetico. Se la nota è nella parte bassa dei cinque righi la stanghetta si disegna verso l’altro, altrimenti verso il basso.
E quei tratti orizzontali che legano tra di loro le crome, danno una qualche indicazione al momento di suonare? No, anche questo è solo un espediente estetico, per non ripetere la virgoletta che indica in modo diverso le crome di diverso valore.
Stratificazioni storiche e usanze, come in tutti i linguaggi “naturali”.
Torniamo alla musica come ripetizione (ritornello, refrain, una struttura presente in ogni canzone e composizione). L’elemento che raggruppa una serie di suoni e pause (note e pause) di diversa altezza e diversa durata (valore) è la battuta (o misura, altra caratteristica della notazione musicale è che la stessa cosa si chiama spesso in modi diversi) ed è l'elemento base che costituisce la frase musicale.
Una battuta è composta da due o più tempi, ogni tempo ha una sua durata (valore).
Quindi per definire la battuta (e quindi in sostanza il ritmo, semplificando) di una frase musicale bastano due elementi: il numero di tempi e il valore base dei tempi, e quest’ultimo non è altro che uno dei 7 valori possibili nella scala dei valori che abbiamo visto prima.
Di conseguenza una battuta in 4/4 sarà composta da 4 tempi di durata ¼ (un quarto della semibreve, ovvero una semiminima). La durata assoluta sarà determinata dalla frequenza del metronomo (p.es. 50 per un andamento lento, 80 per uno più allegro).
Naturalmente in ogni tempo potrà esserci una nota o una pausa, ed ogni tempo potrà essere scomposto in valori più brevi, ad esempio la semiminima di cui sopra in due crome, o in una croma e due semicrome e così via, per il solito numero molto elevato, ma non infinito, di combinazioni. La notazione della battuta è semplicissima: due numeri sovrapposti tipo frazione accanto alla chiave per il numero e il valore dei tempi, una barra verticale per separare le battute, una doppia barra per ripetere l'intera frase dall'inizio.
Non è abbastanza chiaro? Effettivamente la notazione del tempo, pur se semplice, è importante e non troppo intuitiva, se volete un approfondimento con esempi potete andare qui.
Il numero di tempi nella battuta è molto importante, perché caratterizza fortemente la musica. Le possibili combinazioni sono diverse ma quelle di base sono tre: binario (UN-PA | UN-PA), ternario (UN-PA-PA | UN-PA-PA) e quaternario (UN-PA-un-PA | UN-PA-un-PA).
Basta leggere ad alta voce la indicazione mnemonica molto intuitiva che abbiamo inserito tra parentesi per riconoscere i tre tipi di battito di base, che troviamo in tutte le musiche che conosciamo. Dove c'è UN la voce deve essere più marcata, è il punto in cui va l'accento. Nel battito quaternario sulla terza nota c'è un accento, ma meno marcato.
Il battito ternario, ad esempio, è quello usato in una forma musicale tra le più note ed usate: il tempo di valzer.
E se volessimo dividere per tre? Abbiamo visto che la scala dei valori (la durata delle note) è ottenuta dividendo iterativamente per due il valore base. E perché non per 3, o per 5? Teoricamente nulla lo impedirebbe, ancora una volta, le possibili durate sono infinite. Il sistema occidentale è basato, sempre per le solite ragioni storiche, sulla suddivisione binaria. Ma consente di includere anche la suddivisione ternaria (dalla quale, ovviamente, si potrebbero ricavare tutte le altre). Sono le famose terzine, delle quali ogni tanto si scrive nelle recensioni o nei testi musicali.
Un tempo di una battuta invece di suddividerlo in due note si suddividerà in tre. Basta che il tempo totale, la somma delle tre, rimanga uguale al tempo di partenza.
Ancora troppo complicato? Immaginiamo una battuta in due tempi, composta da due semiminime di durata pari a 12 ms ciascuna (usiamo per una volta una misura assoluta) in base al tempo che abbiamo impostato sul metronomo. Se vogliamo suonare 4 note potremmo usare 4 crome di durata pari alla metà (6 ms ciascuna) e la battuta rimarrà di 24 ms.
Ma potremmo anche usare tre crome appena accorciate, di 4 ms ciascuna, seguite da una seminimima. La somma delle 4 note rimarrà sempre 3x4+12 = 24 ms.
Avremmo usato in questo caso una terzina, che si indica semplicemente con il numero 3 sopra o sotto le tre note raggruppate, ottenendo un effetto musicale assai diverso al nostro orecchio.
Un altro elemento essenziale dell’alfabeto per la lingua parlata è la punteggiatura. Può servire per rendere più espressiva e/o agevole la lettura, ma una virgola o un punto posizionati in modo diverso possono anche modificarne il significato di un periodo.
Qualcosa di analogo in musica può essere la legatura, il modo di collegare tra loro le singole note in una sequenza o le battute musicali successive. Due note successive sono legate quando si inizia a suonare la seconda mentre si stacca la prima, oppure staccate, se facciamo una pausa brevissima tra esse. Basta provare a farlo sul pianoforte per 2 o 3 note successive, per rendersi conto che l’effetto è molto diverso sulla melodia che stiamo suonando.
Nelle lingue parlate oltre alle lettere dell'alfabeto e alla punteggiatura l'altro elemento che concorre a dare significato alle parole è rappresentato dagli accenti. Possono essere usati per dare un ritmo alle frasi, come nel caso del greco antico, e della metrica usata in poesia, o possono dare un diverso significato alle parole, come in italiano "áncora" e "ancóra".
Anche nella musica si usano e, avendo la notazione musicale una origine comune con la poesia in metrica dell'antica Grecia, almeno in questo caso il meccanismo è simile. Una delle 4 note di una battuta in 4/4 sarà eseguita in modo più marcato, se sarà la prima la battuta sarà in "battere", se sarà l'ultima sarà in "levare". Un punto sovrapposto alla nota indicherà che la nota deve essere suonata staccata, e quindi con una particolare caratterizzazione.
Abbiamo visto molte notazioni musicali (non tutte), ma non manca forse qualcosa di familiare ai possessori di impianti hi-fi? Come si regola il volume del suono? Quando riproduciamo la musica su un impianto stereo il volume è il comando principale, e quando invece siamo noi a suonare leggendo una partitura come si fa regolare il volume?
Non funziona così, il volume del suono e soprattutto la sua variazioni (crescendo, diminuendo, sincope: un volume forte che si abbassa repentinamente, e così via) nella notazione musicale fanno parte della espressione, cioè del modo di interpretare la musica scritta. L’autore della musica si limita a dare una indicazione generica, scritta, con termini come f (forte), ff (fortissimo), p (piano), pp (pianissimo) e così via, prima di una frase musicale. L’interprete o il direttore d’orchestra sceglierà poi in base alla sua sensibilità, quanto suonare forte o quanto suonare piano. Sarà lui a regolare il volume, non è prevista né utilizzata una notazione oggettiva (ad esempio il numero di decibel) per questa caratteristica del suono.
D’altra parte basta pensare ad un classico crescendo per comprendere che la variazione del volume è un elemento anch’esso della musica, della espressione musicale, così come le variazioni e i contrasti di volume.
In sintesi sul nostro amplificatore il volume è una costante, un valore base, che applichiamo all’inizio di un brano musicale. In musica invece il volume è una variabile, un elemento dinamico, che può essere diverso da una frase all’altra, e in differenti interpretazioni, e che può dare un significato (una sensazione) diversa a chi ascolta a seconda del suo livello.
Fonte articolo: Musica & Memoria - Alberto Maurizio Truffi / Ottobre 2011