Pazzi per la musica

Quello del rapporto tra musica e follia è un tema dibattuto e noto, del resto, il detto genio e sregolatezza è diventato un luogo comune. Guardando nel concreto alla biografia di molti grandi musicisti non si può fare a meno di rilevarne una incoercibile vena di follia che ne ha segnato carriera e vita.

 

La biografia di tanti musicisti illustri appare indelebilmente segnata da una vena di follia, sembra, per certi versi, che la malattia e il disagio mentale alimentino la creatività in animi particolarmente sensibili. Le spiegazioni che si possono dare a questo dato possono essere molteplici, a cominciare dall’ipotizzare una componente genetica, per cui il DNA della creatività musicale sembra avere un rapporto di parentela con quello della schizofrenia e con il disturbo bipolare, ma questo è un ambito che andrebbe approfondito e investigato per poterlo affermare con certezza.

La relazione, infatti, potrebbe essere di tipo diverso. Comporre e suonare potrebbero essere la via di fuga autocurativa di persone predisposte alla sofferenza. Si potrebbe pensare ad una relazione con un determinato stile di vita tipico di alcuni musicisti condito di abuso di sostanze e stress che determinano il venir meno dell’equilibrio psichico in soggetti già fragili da questo punto di vista. Ancora, dietro le storie di tanti artisti musicali si potrebbe celare un bisogno di riconoscimento e ammirazione che spinge ad andar sul palco a chiedere continue conferme della propria unicità e talento, un bisogno sempre esposto ad angosce e al timore di un venir meno di tale conferme.

E poi la classica spiegazione della ricerca di un senso al proprio soffrire che spinge chi è dotato di talento all’espressione musicale che diventa, in questo modo, veicolo di condivisione e uscita da una condizione di solitudine. Sono tutte possibili interpretazioni di un presunto legame tra sofferenza psichica e musica, scientificamente non fondato, ma osservabile, come si diceva in apertura, nelle storie di tanti musicisti talentuosi e segnati da una follia tutta speciale. Di seguito riportiamo una piccola galleria di alcuni di questi personaggi della storia della musica che hanno dovuto lottare con la propria mente e i propri fantasmi uscendone sconfitti ma riuscendo comunque a consegnarci, in mezzo a tanto dolore, lampi di grazia e bellezza purissima.

 

Gaetano Donizetti

 

Ad un certo punto della sua giovinezza, Gaetano Donizetti contrasse un’infezione venerea che trasmise alla moglie e di conseguenza, anche a tutti i suoi figli, che moriranno prematuramente. Nel 1843 contrasse la sifilide per la seconda volta e cominciò a manifestare i primi evidenti sintomi di disturbo mentale. Gli ultimi trionfi del 1845 segnarono il tracollo fisico del compositore, ormai pazzo. Donizetti non riusciva a sollevare la testa, aveva lo sguardo spento e carattere chiuso e diffidente, segnato dalla mania di persecuzione e dalla sfrenatezza dell'impulso sessuale. Venne rinchiuso con l’inganno dal nipote nel manicomio di Ivry vicino Parigi, facendogli credere che il manicomio fosse un albergo e il soggiorno momentaneo.

Qui, condusse una vita vegetativa fino a che gli amici non lo fecero tornare a Bergamo, dove si spense nel 1848. Proprio a Donizetti si deve la più celebre e virtuosistica rappresentazione della pazzia nella storia del melodramma; precisamente nella Lucia di Lammermoor, dove il grande operista racconta mirabilmente le vicende dell’animo sensibile, fragile e visionario di Lucia, una donna già incrinata dall’insania e che viene mostrata mentre vive gli stadi crescenti di una patologia acuita dalla frustrazione e dalla impossibilità di vivere le proprie aspirazioni sentimentali, fino al parossismo finale della scena che diventa limpida ipostasi della follia.

 

Hugo Wolf

 

Poeta dell'intimità, cesellatore di piccole forme la cui genialità è consegnata per intero (tolte piccole eccezioni) a un solo genere musicale, quello del Lied, a cui consacrò tutta la vita, la figura di Hugo Wolf si contraddistingue per una personalità bizzarra e romanzesca, tanto che, per alcuni tratti, ha ispirato il personaggio di Adrian Leverkühn del Doktor Faustus di Mann.

E come mai la figura umana di Wolf si prestava così bene a rappresentare una biografia tormentata come quella del personaggio di Mann compositore geniale e maledetto? Proprio per via del tracollo intellettuale che segna il cammino terreno di Wolf, consegnato già nel 1897, appena trentasettenne, alla notte della follia e rimasto ancora per sei anni a vegetare, come Schumann, in una clinica psichiatrica.

 

Robert Schumann

 

Cinque giorni prima di cadere definitivamente in preda alla follia che avrebbe accompagnato gli ultimi anni della sua esistenza, Schumann, come racconta la moglie Clara, ricevette la visita notturna degli spiriti di due compositori da lui molto amati: Franz Schubert e Felix Mendelssohn-Bartholdy.  I due gli cantarono un meraviglioso tema che Robert si affrettò ad annotare e sul quale scrisse, con grande rapidità, una piccola ghirlanda di variazioni. Nacquero così le Variazioni Geister (degli spettri), ultima definitiva opera del grande compositore, che pochi giorni dopo tentò il suicidio gettandosi nel Reno. Tratto in salvo, concluse la sua vita in un manicomio, dove morì in completa solitudine.

 

Tim e Jeff Buckley

 

Ancora un fiume e un tragico epilogo ricorrono a due secoli di distanza anche nella vita di Jeff Buckley. In questo caso si tratta del Mississipi nelle cui acque, una sera di maggio, il grande interprete di Grace si tuffò per far una nuotata per non riemergere più a soli 31 anni. Su quello che è stato considerato un incedente, aleggia da sempre il sospetto del suicidio. Testimoni dicono che Jeff si sia immerso con tutti i vestiti addosso, cantando Whole Lotta Love dei Led Zeppelin.

Artisti come Buckley sono sempre circondati da un’aura di divinità artistica, che induce, in virtù della loro stessa arte, a idealizzarne la figura. Riascoltando Grace, ancora oggi, se ne ha la prova. E di nuovo, si ha la dolorosa impressione che, dopo un’opera unica e perfetta come quel disco, la storia non potesse finire diversamente. Ad ogni modo, la tragica prematura fine di Jeff sembra seguire da vicino (che si sia trattato di un inconscio tentativo di ricongiunzione?) con quella del padre Tim Buckley, considerato da buona parte della critica uno dei cantanti più geniali e innovativi dell'intera storia del rock, morto a soli 28 anni per un’overdose.

 

Syd Barrett

 

Genio e somma sregolatezza, simbolo del lato oscuro del sogno psichedelico inglese dei baby-boomers, un talento immane bruciato nel volgere di appena tre o quattro primavere: Roger Keith Barrett, detto Syd; Il diamanta pazzo che fondò e diede il nome ad una delle band più influenti e famose della storia, imprimendogli il suo indelebile segno creativo.

La sua storia è nota, i troppi acidi assunti andarono ad aggravare le condizioni di una personalità da sempre problematica, per cui si sono ipotizzate varie patologie dalla schizofrenia alla sindrome di Asperger, dal disturbo bipolare ad una epilessia acutizzata dalle droghe e dalla fobia del palcoscenico.

Già agli inizi degli anni ’70 incominciò per lui un lungo e inarrestabili processo di eclissamento che lo portò, dopo qualche anno consumato in un hotel di Londra a ingrassare davanti alla tv, a rintanarsi a Cambridge, insieme a sua madre, ormai completamente irriconoscibile e invisibile al mondo. Questo fu il suo canto del cigno: il fu viaggiatore interstellare, morì a Cambridge il 7 luglio 2006, a 60 anni, per un tumore al pancreas.

 

Kurt Cobein

 

Il leader dei Nirvana Kurt Cobein nella lettera che accompagnava il suo suicidio scrisse così a Boddah, il suo amico immaginario: "Io da troppi anni ormai non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla, nel leggere, e nello scrivere. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie Mercury".

Cobein, afflitto da ansie di abbandono fin dalla più tenera età, dall’epoca del divorzio dei suoi genitori, dovette affrontare un profondo senso di inadeguatezza e una male di vivere che lo accompagnarono sempre e che sfociarono in diversi comportamenti autolesionistici culminati nel tentativo di suicidio del marzo del 94 e nel fatale colpo di fucile con cui pose fine alla sua vita pochi mesi dopo, nella serra presso il garage della sua casa sul lago Washington.

Kurt aveva sempre detto che la vita e la fama, e Courtney, e la piccola adorata Frances Bean non gli bastavano più, che prima o dopo quel suo “bruciante, nauseato stomaco” che tentava di placare con l’ago perennemente in vena l’avrebbe mangiato da dentro. Adorava le citazioni, nelle sue ultime lettere. Chiuse quella definitiva con il Neil Young di “meglio bruciare che svanire lentamente”.

 

Amy Winehouse

 

Di lei Tony Bennett ha detto: “è una delle più belle voci jazz che abbia mai sentito, al livello di Ella Fitzgerald e Billie Holliday", un talento adamantino segnato da una irrimediabile fragilità, perennemente esposta alle difficoltà della vita.

Amy Winehouse è stata donna che, nonostante il grande successo, ha sempre dovuto fare i conti con una feroce depressione, che ha trasformato la sua tormentata vita in lungo premeditato suicidio, senza che niente potesse frapporsi alla sua volontà di autodistruzione, pervicacemente ricercata nell’abuso di alcol e droghe.

Se ne è andata a soli ventisette anni e come ha commentato sempre Bennett: “Quel che la gente non sa è che lei sapeva. Sapeva di essere in un sacco di guai e che non stava vivendo. La droga non c’entra. Non si faceva più. Era la vita che non c’era”.

 

Elliott Smith

 

Un ragazzo dall’aria malinconica, che sottile si insinuava anche nei suoi frequenti sorrisi, baciato dal dono di una voce angelica e di una innata disposizione alla poesia.

Elliott Smith è autore di piccoli capolavori come Between the bars, Angeles, Say Yes, Miss Misery (inserita nella colonna sonora di Will Hunting, nominata agli Oscar come miglior canzone originale) e Needle in the Hay e molte altre canzoni toccate da una grazia fuori dal tempo. Anche Smith dovette sempre lottare contro una profonda depressione e la dipendenza da alcol e droghe da cui non riuscì mai a disintossicarsi.

Come è scritto in articolo dell’Inkiesta: “La sua morte, avvenuta il 21 ottobre 2003, non interruppe solo la lavorazione del suo sesto disco From a Basement on the Hill, ma anche la carriera di una delle anime più sensibili del pop rock, una delle ultime rimaste dopo la fuga subacquea di Jeff Buckley sei anni prima. Si pugnalò al petto dopo un litigio con la sua ragazza, vinto più dalla droga che dalla lama, annientato dalla depressione e dalla paura”.

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