Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today

Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today

Da molti puristi e surcigliosi uomini di cultura la disco music viene sbrigativamente liquidata come una musica fatta solo di bassi e riverberi che sembra rimbombare nelle orecchie con cantilenante monotona fissità, espressione di una sottocultura di derivazione commerciale buona esclusivamente per il consumo che passa senza lasciare tracce. Non la pensano in questi termini i curatori della mostra Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today, una mostra prodotta dal Vitra Design Museum e ADAM Brussels Design Museum che arriva al Centro Pecci per l’arte contemporanea di Prato come unica sede italiana.

Come spiega Jochen Eisembrand, uno dei promotori del progetto tanto audace per la materia trattata quanto straordinariamente contemporaneo, “I locali notturni e le discoteche sono stati epicentri di cultura contemporanea. Nel corso del ventesimo secolo hanno messo in discussione i codici prestabiliti del divertimento e dello stare insieme e hanno permesso di sperimentare stili di vita alternativi. Al loro interno si incontrano le manifestazioni più d’avanguardia del design, della grafica e della moda, luci, suoni e effetti speciali per creare un moderno Gesamtkunstwerk, l’operta d’arte totale”.

Un ricco e sorprendente percorso sonoro e visuale sostanzia questo allestimento che secondo un ordine cronologico parte dalle discoteche degli anni Sessanta che per la prima volta trasformano il ballo in un rito collettivo da officiare in un mondo fantastico fatto di luci, suoni e colori in cui immergersi. Assai interessante il ruolo tutt’altro che periferico svolto dall’Italia all’interno di questa particolare storia grazie al ruolo svolto, proprio alla nascita del fenomeno, da locali notturni concepiti dal gruppo dell’Architettura Radicale italiana. Tra questi si può citare lo Space Electronic a Firenze (inaugurato nel 1969 e ancora in attività; il 21 settembre del 1970 vi si esibirono Sly + Family Stone, reduci da Woodstock; la locandina è in mostra) o il Piper (1966) di Torino, lo spazio multifunzionale concepito da Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso, che con i suoi mobili modulari non solo faceva ballare, ma si prestava ottimamente anche per concerti, happening e teatro sperimentale. Il Bamba Issa (1969), una discoteca toscana sulla spiaggia di Forte dei Marmi ideata dal Gruppo UFO, era essa stessa un teatro dell’arte: qui tutto l’interior fungeva da palcoscenico.

Gli anni Settanta segnano la definitiva ascesa e il culmine della disco music e della cultura del club che si consacra come fenomeno globale e commerciale, come attestato dal celebre film interpretato da John Travolta la Febbre del sabato sera. Come ben sottolineato dalla pagina di presentazione della mostra:È bene ricordare però che l’anima della disco music non è mainstream: nata in club e bar frequentati dalla comunità LGBTQ+ e nera ma anche latinoamericana, marginalizzate dalla maggioranza bianca e eterosessuale, si sviluppò in modo assolutamente politicizzato e con una forte connotazione sociale come un fenomeno underground, poi traghettato attraverso locali come il Paradise Garage – gay club che per primo rompe le regole della discriminazione razziale − verso la cultura di massa. Non a caso, i contro-movimenti come il Disco Demolition Night di Chicago (1979) diedero voce a tendenze reazionarie, in parte caratterizzate da omofobia e razzismo”.

Interessante anche il ruolo giocato da discoteche come il Mudd Club (1978) o l’Area (1978) di New York, capaci di fondere vita notturna e arte, offrendo nuove opportunità ai giovani artisti emergenti: fu in questo scenario che ebbero inizio le carriere di Keith Haring e Jean-Michel Basquiat per citarne due tra i più noti.

Un percorso espositivo ricco di sorprese e approfondimenti attende i visitatori con alcune sezioni particolarmente spettacolari come quella dedicata alla New York della Febbre del Sabato sera con le immagini di vip e costumi creati da esponenti della moda disco come Halston, Fiorucci, Gucci. Ugualmente attraente il percorso post-disco con contributi audiovisivi spettacolari e coinvolgenti dove largo spazio è dedicato ai locali house e techno sparsi dappertutto da Detroit a Beirut. Accattivante la sezione interattiva Silent Disco, che occupa il centro della mostra, in cui basta indossare la cuffia corrispondente al genere preferito per venire magicamente trasportati dentro una verosimile club experience.

Al termine di questo ricco e stupefacente viaggio nel mondo dei locali notturni, emerge il ruolo chiave e finora misconosciuto svolto da questi luoghi del divertimento come fucine di sperimentazione della cultura giovanile in cui musica, moda, arte, architettura, design hanno trovato un fertile luogo di incontro, interazione e creazione di nuove sensibilità.

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