Il talento musicale solleva il dibattito tra genetica e ambiente. Studi dimostrano che il talento deriva dall'interazione tra fattori genetici, pratica e contesto.
Nel 2012, il diciassettenne londinese Jacob Collier pubblica un video su YouTube cantando e riarmonizzando "Isn't She Lovely" di Stevie Wonder. Il produttore Quincy Jones lo nota, definendolo "incredibile" e lancia la sua carriera discografica. Questo episodio rappresenta un esempio lampante di talento precoce, ma da dove nasce il talento musicale? È innato o coltivato dall'ambiente?
Molti prodigi musicali, come Herbie Hancock e Art Tatum, sembrano avere una predisposizione innata, spesso con influenze familiari significative. Nel caso di Jacob Collier, il suo contesto familiare ha certamente giocato un ruolo importante: Collier è figlio di una direttrice d'orchestra e in casa sua si respirava musica. Questo ci porta a chiederci se il talento musicale sia qualcosa con cui si nasce o se si sviluppi attraverso l'esperienza. Probabilmente la risposta è una combinazione di entrambe le cose.
Secondo Laura Ferreri, neuroscienziata dell'Università di Pavia, la definizione di talento riguarda la capacità di ottenere prestazioni eccezionali già da bambino. Questo significa che il talento si manifesta attraverso un livello di competenza molto alto sin da giovane età. Esistono indizi che suggeriscono il coinvolgimento di marcatori genetici nello sviluppo di tale abilità. Ad esempio, geni come GATA2 e SNCA sono coinvolti nello sviluppo dell'orecchio interno e nelle capacità musicali. GATA2 è un fattore di trascrizione che regola altri geni, inclusa l'espressione del gene SNCA, che codifica una proteina specifica nei neuroni dopaminergici. Entrambi questi geni influenzano lo sviluppo dell'orecchio interno e la sensibilità musicale. È interessante notare che mutazioni nella SNCA, che nell'essere umano aumentano il rischio di sviluppare il Parkinson, influenzano negativamente anche la capacità canora degli uccelli.
Un altro esempio riguarda l'orecchio assoluto, ovvero l'abilità di identificare l'altezza di un suono senza punti di riferimento. È stato osservato che questa capacità è più comune tra gemelli monozigoti, suggerendo un'origine genetica. Anche l'amusia, l'incapacità di riconoscere la differenza tra note e melodie, ha una componente ereditaria. Uno studio della neuroscienziata Isabelle Peretz ha dimostrato che l'amusia potrebbe essere determinata dall'interazione di numerosi geni con l'ambiente.
Nonostante il coinvolgimento dei geni, il talento musicale non è determinato esclusivamente da fattori genetici. Ad esempio, uno studio sul genoma di Beethoven ha rivelato che, a livello genetico, egli non era particolarmente predisposto per il senso del ritmo: il suo indice poligenico relativo alla sincronizzazione del ritmo era tra i più bassi della popolazione. Tuttavia, la pratica musicale intensa e l'influenza dell'ambiente hanno giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo del suo talento. La neuroscienza suggerisce che l'interazione tra geni e ambiente sia cruciale. Bambini talentuosi tendono a dedicare più tempo alla pratica musicale, e questo impegno porta a risultati migliori, creando un circolo virtuoso tra abilità innata e pratica.
L'ambiente, infatti, è decisivo per sviluppare il talento. Studi dimostrano che la predisposizione musicale può emergere attraverso la pratica, anche per chi non nasce come prodigio. Le persone non vedenti, come Stevie Wonder, spesso sviluppano un'acuità sonora eccezionale poiché il loro cervello si riorganizza per compensare la perdita della vista, concentrando le proprie risorse sull'elaborazione degli stimoli sonori. Anche il contesto sociale e pedagogico è fondamentale per lo sviluppo musicale. Un insegnante che incoraggia e guida con sensibilità può fare una grande differenza nell'espressione del talento musicale di un bambino.
Un esempio rilevante dell'influenza dell'ambiente è rappresentato dalle sorelle Polgár, cresciute dal padre László Polgár per diventare campionesse di scacchi. Convinto che il genio si possa coltivare, Polgár ha elaborato un metodo per educare le figlie nella disciplina degli scacchi, e il risultato è stato che tutte e tre sono diventate eccellenti scacchiste, smentendo il pregiudizio che le donne non siano portate per gli scacchi. Un caso simile si osserva nella famiglia Mozart: Leopold Mozart ha cresciuto entrambi i figli, Wolfgang Amadeus e Maria Anna, nella musica. Entrambi erano considerati prodigi, ma Maria Anna dovette interrompere la carriera musicale a causa delle convenzioni sociali dell'epoca, che limitavano le donne nella sfera pubblica.
Un altro caso significativo è quello di David Helfgott, un prodigio del pianoforte la cui storia è stata raccontata nel film "Shine". Helfgott ha mostrato un talento precoce, ma la sua carriera è stata ostacolata da disturbi mentali e dall'opposizione del padre. Nonostante le difficoltà, Helfgott ha ripreso a suonare dopo anni di trattamento, dimostrando che la forza dell'ambiente può essere sia un fattore promotore sia limitante per lo sviluppo del talento.
Il cervello umano sembra essere naturalmente predisposto alla musica. Già nei primi giorni di vita, i neonati rispondono agli stimoli musicali, e la struttura stessa della coclea facilita la percezione di alcune armonie come consonanti o dissonanti. La neuroscienza ha inoltre rivelato che esistono aree cerebrali specifiche che si attivano sia durante l'elaborazione musicale che durante la comprensione del linguaggio. L'attività neurale legata alla violazione della sintassi musicale si sovrappone parzialmente a quella legata alle violazioni sintattiche del linguaggio, suggerendo che il cervello interpreta la musica in modo simile a un linguaggio.
Nei musicisti, la pratica intensiva produce cambiamenti strutturali nel cervello. Ad esempio, la materia grigia nella regione sinistra della corteccia motoria primaria è più densa nei pianisti rispetto ai non-musicisti. Anche il corpo calloso, il fascio di fibre che connette i due emisferi cerebrali, è più sviluppato nei musicisti, soprattutto in quelli che hanno iniziato a suonare prima dei sette anni. Inoltre, il fascicolo arcuato, una connessione neuronale che collega le aree del cervello responsabili del linguaggio, è più sviluppato nei musicisti, contribuendo a migliorare le loro capacità musicali e linguistiche.
La pratica musicale non è solo appannaggio dei prodigi, ma può portare benefici cognitivi e comportamentali a chiunque. Studi hanno dimostrato che la pratica musicale migliora la memoria di lavoro e la capacità di comprendere il linguaggio in ambienti rumorosi, un'abilità nota come speaking in noise. Inoltre, fare musica attiva processi emotivi e di socializzazione che favoriscono il bonding sociale, aumentando la coesione tra individui. La plasticità cerebrale che deriva dalla pratica musicale può anche rallentare alcuni effetti dell'invecchiamento, come il declino della memoria.
Un esempio di come la musica possa influenzare il cervello riguarda i musicisti anziani. Si è osservato che questi individui sono in grado di distinguere i suoni in ambienti rumorosi molto meglio rispetto a chi non ha una formazione musicale. Questa capacità, definita speaking in noise, è un esempio del fenomeno chiamato near transfer, in cui abilità acquisite in un contesto possono migliorare la performance in un altro contesto correlato. Inoltre, la pratica musicale è stata associata a un miglioramento della memoria episodica, della concentrazione e dell'attenzione selettiva, dimostrando quanto profonda possa essere l'influenza della musica sul nostro cervello.
Oltre all'interazione tra geni e ambiente, il contesto sociale e culturale gioca un ruolo cruciale nella definizione del talento musicale. La cultura in cui una persona cresce può influenzare profondamente la percezione e l'apprendimento della musica. Ad esempio, in alcune culture, la musica fa parte integrante della vita quotidiana, ed è naturale per i bambini imparare a cantare e suonare strumenti fin da piccoli. In questi casi, il contesto culturale fornisce le basi per lo sviluppo del talento musicale.
Un esempio interessante è quello delle comunità dell'Africa occidentale, dove la musica e la danza sono elementi fondamentali delle cerimonie e della vita sociale. In questo tipo di ambiente, i bambini sono esposti fin da piccoli a ritmi complessi e a performance musicali, il che facilita lo sviluppo delle loro abilità musicali. Il supporto della comunità, l'accesso agli strumenti e la partecipazione attiva alle performance sono tutti fattori che contribuiscono a far emergere il talento.
In sintesi, tutti possediamo una predisposizione alla musica, e il talento musicale dipende da un insieme complesso di fattori genetici, ambientali e sociali. Alcuni individui manifestano precondizioni particolari che, combinate con una pratica intensa e un contesto favorevole, possono portarli a sviluppare un talento superiore. Tuttavia, come conclude Ferreri, "il talento non è per pochi. Tutti nasciamo portati per la musica. È una precondizione dell'umano". Questo significa che la musica non è solo un'abilità per i geni, ma un'esperienza accessibile e arricchente per tutti.