Si possono sentire i colori? Nel caso di chi sperimenta la cromoestesia, si tratta di un’esperienza ordinaria. La sinestesia “naturale” è una particolarità molto rara, che interessa tra lo 0,05% ed il 4% della popolazione mondiale. Nella storia della musica non pochi grandi del passato hanno sperimentato questo tipo di percezione, che ne ha influenzato opere e sensibilità.
Il grande neurologo Oliver Sacks, nel suo straordinario saggio Musicofilia, cita Michael Torke, un compositore di musica contemporanea, riportando un suo interessante ricordo di quando aveva cinque anni e già studiava musica con un’insegnante:
Un giorno [Torke] disse all’insegnante: «Mi piace proprio quel brano azzurro». L’insegnante non era sicura di aver sentito bene: «Azzurro?». «Sì,» rispose Michael «il brano in re maggiore… il re maggiore è azzurro».
Come scrive Sacks, in quel preciso momento, osservando la reazione dell’insegnante, Torke si rese conto che non tutti associavano visivamente dei colori precisi alla musica, per il semplice motivo che lui era affetto da un fenomeno neurologico noto con il nome di sinestesia. L’etimologia del termine sinestesia deriva dal greco syn, insieme, e aisthēsis, sensazione, e nel complesso significa ‘percepire insieme, sentire insieme’. Infatti, la parola sinestesia serve proprio ad indicare un’esperienza di percezione simultanea.
Tale condizione interessa 1 persona su 23 e può presentarsi in differenti forme. La forma più comune di sinestesia è quella che associa grafema-colore, dove a lettere e numeri, o altri simboli come le note, viene associato un colore e, non solo, in alcuni casi, anche le intere parole possono avere una propria tonalità. Quella sperimentata da Torke è una forma di cromoestesia dal greco chròma, colore, ed aisthēsis sensazione, si tratta, come illustra il caso riportato da Sacks, di un fenomeno percettivo caratterizzato dall’insorgenza di una immagine visiva, frequentemente caratterizzata da colori, che si manifesta in modo automatico ed involontario, come conseguenza della percezione di suoni; in senso più generale, indica l’associazione di una percezione cromatica con altre modalità sensoriali (uditive, olfattive, gustative, tattili). I colori “visti” non sono di tipo illusorio, ma sono, piuttosto, simili a immagini mnemoniche; spesso viene chiamata anche “audizione colorata”, per descrivere, il sopravvenire di una immagine visiva in seguito a uno stimolo acustico. Per alcuni, è questione di tonalità e per altri, è il timbro: la forma della cromoestesia dipende fortemente dall’individuo. Tuttavia, esisterebbero delle associazioni oggettive, come dimostrano alcuni gli studi, che hanno documentato come sinesteti, ma anche non sinesteti, associano regolarmente i suoni acuti con colori più chiari o più luminosi e i suoni gravi con colori più scuri.
Questa particolare forma di percezione si manifesta contro la volontà di una persona a livello soggettivo e al momento della prima apparizione nella primissima infanzia non ha significato cosciente. La singolarità della percezione sinestetica sta proprio nel fatto che si tratta di una reazione involontaria, aggiuntiva, statisticamente insolita e permane inalterata durante la vita dello sperimentatore.
Fra i grandi musicisti si possono trovare diversi casi celebri di sinesteti, come, ad esempio, Franz Liszt, il quale sconcertava gli strumentisti di Weimar, di cui era Kapellmeister, con incitazioni come “più rosa, qui”, “questo è troppo nero” oppure “ora voglio tutto azzurro”: la musica che aveva in testa era comunicata come colore. Il compositore Alexander Skrjabin vedeva un colore se l’emozione della musica era intensa. Il colore, diceva, accentua la tonalità. Egli richiedeva che il suo Prométhée Le Poème du feu fosse accompagnato da luci con colori cangianti, per sottolinearne le tonalità. Seduto accanto a Rimsky Korsakov a Parigi, Skrjabin gli disse che la musica che stavano ascoltando gli appariva gialla. Per Korsakov era dorata. Un brano successivo era violetto per l’uno e verde per l’altro.
Jean Sibelius era in grado di percepire con nettezza precisi colori associati alle note: il Re maggiore per lui era giallo, il Do maggiore rosso, il Fa maggiore verde. Da bambino era solito collegare scale e accordi emessi dal piano di casa alle strisce multicolori di un tappeto sul pavimento. Prediligeva il verde chiaro, virato di preferenza verso il giallastro, piuttosto che il bluastro. “È una via di mezzo tra Re e Mi bemolle”, argomentò il musicista.
Facoltà sinestetiche aveva anche Leonard Bernstein, il quale descrisse la sua particolare forma di cromostesia come una associazione di “timbro per colore”. Detestava il fatto che un’orchestra o un solista cambiare il “timbro” che egli aveva previsto per la sezione del pezzo in esecuzione. Nessuno dei presenti sarebbe mai stato in grado di precepire la differenza, ma la sua mente cromostesica sì.
Amy Beache, invece, sperimentava una percezione sinestetica che gli consentiva di associare ogni chiave e tonalità a un colore particolare. Quando un artista cambiava la chiave-tonalità di un brano per adattarlo alla propria voce, era capace di andare sut tutte le furie: modificando il suono, cambiava la rappresentazione e l’emozione del pezzo e, soprattutto, il suo colore fondamentale.