Continuiamo l’illustrazione delle regole base delle grammatica musicale servendoci del parallelo con le lingue parlate. Qui si affronta gli aspetti fondamentali della notazione musicale.
Come funziona la notazione della lingua parlata? Nel nostro sistema occidentale funziona mediante un sistema di segni, l’alfabeto, dei fonemi usati nella lingua parlata. I fonemi possibili sono molti, ma tra di essi ne sono stati scelti un numero limitato, e non tutti quelli che possiamo produrre, e diversi per varie lingue. Ma con sole 21-26 lettere, 6-7 segni di interpunzione e qualche accento si può esprimere qualsiasi concetto. Non qualsiasi sfumatura della lingua parlata: pensiamo alle vocali aperte o chiuse, se volessimo descrivere una persona che parla in dialetto barese ed una che parla in dialetto piemontese ci mancherebbe qualche vocale, o pensiamo all’inglese e ai molti modi con i quali si pronunciano la lettera A o la E. Inoltre, non si possono esprimere stati d’animo associati al testo, per i quali sono stati sviluppati gli emoticon in anni recenti.
Nella musica la situazione è simile, la notazione musicale può descrivere un sottoinsieme discreto (composto da un numero di valori finito) degli elementi base del suono.
Le possibili variazioni del suono in natura sono invece infinite e una qualsiasi codifica musicale non può che fare una scelta tra queste infinite possibilità, limitando così le musiche che può codificare. Il sistema occidentale attuale, per prima cosa, riduce le possibili frequenze con le quali si compone una frase musicale ad un numero finito di 88 diversi valori (gli 88 tasti del pianoforte) con limitate estensioni a frequenze inferiori o superiori per altri strumenti.
Questo significa che le altre infinite frequenze intermedie, che pur esistono in natura o che possono essere generate dagli strumenti, non sono codificabili e quindi, tipicamente, non utilizzabili. Un po’ come nel digitale contrapposto all’analogico. Anche le durate sono prefissate, per un totale di 7 lunghezze base dei suoni o delle pause (tutti sottomultipli pari della lunghezza maggiore, che curiosamente si chiama “semibreve”, come vedremo dopo).
Anche con queste semplificazioni descrivere la musica con una serie di segni rimane un compito non facile e richiede l’uso di molte notazioni e di una quantità di variazioni ad esse.
La notazione musicale si è sviluppata nei secoli come i linguaggi naturali e, come essi, contiene una serie di incongruenze che fanno impazzire i neofiti.
Solo che nei linguaggi naturali parlati vi siamo abituati per forza e le accettiamo. Ad esempio, accettiamo che in italiano ci siano due lettere per lo stesso fonema (C dura e Q) e non ci siano lettere specifiche per C molle, G molle, S molle o GL. O che in inglese non ci siano lettere per descrivere i fonemi TH o SH mentre per la C dura ci siano addirittura tre notazioni quasi identiche (C, K e Q).
La prima scelta che è stata fatta è quella di usare 7 note (con nomi identificativi) per descrivere le frequenze o altezze (il termine usato in musica) dei suoni. Come si è visto dovrebbero essere 88 o più. Non sarebbe molto agevole ricordarle tutte, ma non impossibile. Con quest’altro sistema invece bisogna ricordare solo DO-RE-MI-FA-SOL-LA-SI (ma anche SI-LA-SOL-FA-MI-RE-DO, discendente). Ma bisogna anche individuare quale DO nella tastiera dobbiamo suonare, perché ce ne sono 8 nella tastiera di un pianoforte. Corrispondente ciascuno all’inizio di un intervallo di note (o di frequenze) chiamato ottava, completato il quale le note si ripresentano con gli stessi nomi e le stesse relazioni tra loro. Quindi un sistema relativo, non assoluto. Complicato? Non troppo, ci torniamo dopo.
Poi, come al solito, non tutti sono d’accordo nel mondo sugli standard, e come per le prese della luce, nei paesi anglosassoni hanno un sistema diverso anche per la musica, ed usano le lettere A-B-C-D-E-F-G per le sette note. Che forse sono più semplici da ricordare, almeno all’inizio, perché almeno l’alfabeto lo ricordano tutti.
Per complicare ancora più le cose per scrivere le note si usa il pentagramma. Che, come dice il nome, è composto da cinque righe. Perché, se le note sono sette? O magari 88? E’ così, vale quello che si diceva per il C e la K. E non chiediamoci neanche perché le note sono sette se noi abbiamo cinque dita.
Nel pentagramma in realtà si usano sia le righe sia gli spazi e quindi le note che può descrivere sono 9. Ma siccome non bastano si usano righe addizionali immaginarie (chiamate tagli) con le quali si può estendere la possibilità di scriverle, sia in alto sia in basso. Senza limiti, teoricamente, ma con un limite effettivo di altre 8 o 10, semplicemente per come sono stampati i fogli di musica.
Naturalmente, visto che una frase musicale di solito non salta da un capo all’altro della tastiera (sarebbe anche difficile, con due mani sole) le note in una scrittura musicale (partitura) sono relativamente vicine tra loro, e quindi le 9 o 18 possibilità sono sufficienti. Basta indicare all’inizio in quale parte della tastiera ci si trova, e lo si fa con la chiave (di violino o di basso) che si mette all’inizio di una o più “righe” di musica.
Perché due chiavi diverse? Perché usandone due, con qualche acrobazia (vedi dopo) si può indicare l’intera estensione delle note suonabili con il pianoforte. Quindi: chiave di violino per la mano destra (la metà destra della tastiera), chiave di basso per la mano sinistra.
Ma come si fa con due chiavi sole a individuare l’ottava su cui suonare tra le 8 presenti nella tastiera del pianoforte? Se qualcuno inventasse ora la notazione musicale non avrebbe grandi problemi: aggiungerebbe sotto al bellissimo simbolo che indica la chiave un numero corrispondente ad uno dei 7 DO dai quali inizia sulla tastiera un’ottava completa e il gioco sarebbe fatto. Le note sarebbero sempre nelle stesse posizioni e tutto sarebbe semplice da spiegare e da ricordare. Anche per gli strumenti a minore estensione, che semplicemente inizierebbero dal DO che possono riprodurre (sono già numerati da 0 a 6, un tempo avevano anche dei nomi, per esempio DO “contra”, DO1 “grande”, DO2 “piccola” e così via). Ad esempio il violino partirebbe da DO3 ovvero “una linea”.
Ma, come è inutile chiedersi perché i mesi non sono 13 di 4 settimane precise più uno con una settimana di 8 giorni con due domeniche (per esempio) invece di 12 di lunghezza variabile, per cui bisogna imparare a scuola la ben nota filastrocca, così anche in musica il sistema è un po’ più complicato.
Come si vede nella figura, con le due chiavi di basso e di violino di cui abbiamo parlato e con i tagli addizionali si coprono le ottave da DO (la prima ottava, che inizia dal terzo tasto a sinistra di una tastiera di pianoforte completa, a 88 tasti) a DO6. Per il DO7 occorre usare un altro sistema, e indicare manualmente sopra alla nota “8 va”. Ma si tratta dell'ultima nota della tastiera, non dell'inizio di una ottava.
Dammi il LA, dicono ogni tanto i musicisti al pianista. E LA è la prima nota nella notazione anglosassone (A). Ha una qualche ragione questa preferenza per quella che da noi latini è semplicemente la VI nota? Nessuna, è solo che si usa per prassi il LA successivo al DO3, la quarta ottava o DO centrale, presente quindi nella maggioranza degli strumenti, una nota che ha una frequenza di 440Hz, come elemento di riferimento per accordare tra loro gli strumenti. Un pianoforte mantiene molto bene l’accordatura (ancor di più un piano elettrico, ovviamente) e quindi può emettere la nota a frequenza precisa e costante. Gli strumenti a corda invece devono essere frequentemente accordati per ripristinare la corretta tensione delle corde, e la operazione è più semplice potendo ascoltare la nota pura di riferimento. Per essere ancora più precisi esiste un apposito strumento che può emettere una sola nota, appunto il LA centrale, ed è il famoso diapason, simbolo anche della Yamaha (casa anzitutto di strumenti musicali, poi di moto e altro), che può essere usato per allineare il suono (accordare è il termine, anche per gli strumenti non a corda).
Così come per imparare a leggere bisogna ricordare le 21 (o 26) lettere dell’alfabeto senza difficoltà e incertezze, così bisogna fare per le note, che però non hanno segni diversi, ma prendono nomi diversi a seconda della posizione sul pentagramma. Le possibili posizioni sul pentagramma sono 16, possono diventare 22 o 24 con i tagli addizionali, diventano il doppio usando le due chiavi di violino e di basso (nelle quali la sequenza di note è spostata di una linea). Teoricamente si potrebbero memorizzare “a vista” tutte, e così effettivamente avviene quando si prende familiarità con la scrittura musicale, ma per iniziare sarebbe un po’ impegnativo, e si usano di solito sistemi diversi.
Il più semplice è memorizzare le sequenze di note continue e intervallate a due a due, sotto forma di “conta”, e le posizioni di alcune note chiave più facilmente individuabili a colpo d’occhio. Partendo da una posizione chiave e applicando la “conta” più corta si recupera il nome della nota. Considerando anche che, per come è strutturato il pentagramma, ogni nota si presenta alternativamente su una riga o nello spazio tra di esse, con due righe in mezzo.
Vediamo quindi le 4 “conte”:
tutte, ascendente: DO-RE-MI-FA-SOL-LA-SI-DO
tutte, discendente: SI-LA-SOL-FA-MI-RE-DO-SI
alternate: ascendente: DO-MI-SOL-SI-RE-FA-LA-DO
alternate: discendente: SI-SOL-MI-DO-LA-FA-RE-SI
Le note chiave possono essere:
le chiavi (FA per il basso e SOL per il violino)
il DO (la prima nota e quindi la più mnemonica)
il SI (l’ultima nota e quindi mnemonica anch’essa)
le note "appoggiate" sul pentagramma dalla parte della chiave (dalla parte opposta è sempre la chiave): RE e SI
Per ciascuna di esse si memorizzano le due posizioni sul pentagramma nelle due chiavi, e poi da queste si partirà per la progressiva memorizzazione attraverso la pratica.
Sembra complicato ma basta riportare gli esempi su un foglio di musica si capisce tutto.
Si riducono in questo modo gli elementi base da memorizzare a 4 + 6, ma con una logica di ripetizione.
Importante chiarire però è che il problema non è dare un nome alle note, avendo tempo ci si riesce facilmente, il problema è individuarle, appunto, a tempo; nella musica il ritmo e quindi il tempo, a differenza che nella lingua scritta, sono un elemento fondamentale, senza il quale il senso della frase musicale si perde. Quindi, leggere le note vuol dire individuare la nota successiva prima che passi il tempo (la durata) della nota precedente.
Una pratica piuttosto noiosa, purtroppo, ma indispensabile per imparare, che si chiama solfeggio.
Fonte articolo: Musica & Memoria - Alberto Maurizio Truffi / Ottobre 2011