L’esacordo, il sistema di sei note musicali introdotto da Guido d’Arezzo per facilitare l’intonazione dei cantori, fu di fondamentale importanza per dare una base condivisa ai diversi modelli musicali utilizzati nel corso del Medioevo. In questo articolo ne spieghiamo struttura e storia.
Secondo la definizione per esacordo in musica si intende “un insieme di sei classi di altezze che comprende una porzione di sei note consecutive in una scala musicale. Il termine venne adottato nel medioevo e riproposto nel XX secolo da Milton Babbitt con la teoria del serialismo” (cfr. Wikipedia).
L'esacordo designa, in altre parole, la serie di sei suoni che si succedono ordinatamente per grado, sia in linea ascendente sia in linea discendente a distanza di un tono, un tono, un semitono, un tono e un tono (ad esempio: DO – RE – MI – FA – SOL – LA).
Su di essa Guido D’Arezzo basò il suo sistema della solmisazione (dal nome delle note musicali sol e mi o solfisazione è un metodo di solfeggio basato sulle sillabe che individuavano le note dell'esacordo: Ut - Re - Mi - Fa - Sol - La), che rimase per diverse secoli dopo di lui come riferimento della pratica della didattica musicale. Il modello costituito dall’esacordo fu di fondamentale importanza per dare una base condivisa ai diversi modelli musicali utilizzati nel corso del Medioevo, costituiti dalla presenza di tre semitoni nell’ambito dell’ottava, corrispondenti nella posizione agli attuali, MI – FA – SI – DO, LA - SI bemolle.
A seconda che all’interno dell’esacordo fosse ravvisato l’uno o l’altro di quei semitoni, l’esacordo poteva essere denominato rispettivamente naturale, duro e molle e poteva costituire termine di riferimento per il musicista (se per esempio l’esacordo naturale corrispondeva all’attuale successione DO – RE – MI – FA – SOL – LA, l’esacordo duro corrispondeva a quella di SOL – LA – SI – DO – RE – MI, e l’esacordo molle a FA – SOL – LA, SI bemolle – DO – RE). Come ausilio Guido D’Arezzo forse utilizzò già, ma certamente i successivi insegnanti di musica del Medioevo, la cosiddetta mano guidoniana.
Al fine di distinguere i suoni dell’esacordo in ordine alle loro relazioni interne fisse, a prescindere dalla loro altezza effettiva, Guido D’Arezzo li designò con le prime sillabe dei primi sei emistichi dell’inno gregoriano cantato nel vespro della solennità della natività di san Giovanni Battista, che iniziavano su gradi contigui in progressione ascendente coincidenti con l’emistichio.
Le sillabe, da cui derivano i nomi delle note che tutt’oggi vengono utilizzati, erano così disposte: Ut queant laxis / Resonare fibris / Mira gestorum / Famuli tuorum / Solve polluti / Labii reatum / Sancte Johannes ( più tardi le due iniziali di quest’ultimo emistichio diedero origine alla nota SI). In tal modo ut – re – mi – fa – sol – la designò indifferentemente l’esacordo naturale, duro e mole e i suoni relativi.
Proprio per questo il passaggio da un esacordo all’altro (passaggio detto mutazione, in certo modo confrontabile con la modulazione tonale dei secoli successivi) doveva avvertirsi, nella pratica, con la scambievole sostituzione delle sillabe in coincidenza con l’apparire del semitono caratterizzante, sempre significato dal nesso MI – FA.
Se per esempio, infatti, l’esacordo naturale mutava in quello molle, il suono prima chiama LA, come nell’attuale successione DO – RE – MI – FA – SOL – LA prendeva il nome del MI, in quanto formava semitono col FA corrispondente all’attuale Si bemolle della successione FA – SOL – LA, SI bemolle – DO – RE; così l’ut dell’esacordo naturale diventava FA nell’esacordo duro, in quanto individua il semitono MI – FA corrispondente all’attuale SI – DO della successione SOL – LA – SI – DO – RE – MI.