Il nuovo album di Nick Cave and the Bad Seeds è stato annunciato casualmente una settimana prima della sua uscita, in risposta a una domanda di un fan sul sito web di Red Hand Files, una finestra di comunicazione con il suo pubblico che il cantante australiano aggiorna settimanalmente.
Laconiche e dal sapore gnomico le parole con cui ha presentato questo nuovo lavoro: “Le canzoni del primo album sono i bambini. Le canzoni del secondo album sono i genitori. Ghosteen è uno spirito migrante”.
In questo lavoro il cantautore sembra giungere al termine di un faticoso e straziante percorso di purificazione intrapreso a partire dalla tragica scomparsa del figlio quindicenne precipitato da una scogliera nel luglio del 2015.
Cave sembra impegnato nello scandagliare quella zona d’ombra tra la vita e la morte alla costante ricerca di una catartica elaborazione della tragedia che risiede nell’accettazione dell’universalità della morte. Non a caso, in Hollywood, il sontuoso brano con arrangiamenti orchestrali alla Scott Walker che conclude Ghosteen, viene rievocata la storia di derivazione buddhista di Kisa Gotami che racconta dell’impermanenza dell’esistenza umana. “Strisciamo sulle nostre ferite”, canta “e ora sto solo aspettando che arrivi la mia ora, sto solo aspettando il mio posto al sole, sto solo aspettando che venga la pace”
Cave ha parlato di come la morte di suo figlio abbia modificato il suo lavoro, di come abbia trovato il modo di “comporre andando oltre i suoi traumi personali per addentrarsi in una nuova dimensione, quasi uno stato di meraviglia”. E, nonostante l'apparizione dei normali temi di Cave, Ghosteen sembra rappresentare questo processo.
A questo proposito, Liborio Conca nella sua recensione su minima&moralia accosta il disco a due altri album che affrontano il lutto nella storia del rock d’autore: Lou Reed, con Magic and Loss, e Mount Eerie, ovvero il cantautore Phil Elverum, con A Crow Looked At Me. Scrive Conca: “Nick Cave – non fa meglio, non fa peggio, non è questo il punto – compie un passo ulteriore e iscrive Ghosteen in una dimensione altra; è come se avesse creato un mondo nuovo, e per questo Ghosteen è un album destinato a diventare un classico, un’opera con cui dovremo fare i conti”.
Tutto qui sembra riportato all’essenziale e ad un linguaggio sonoro rarefatto ed etereo che porta alle estreme conseguenze lo stile inaugurato nei due album precedenti. Eliminata la parte ritmica, gli arrangiamenti curati da Warren Ellis si affidano a tappeti elettronici e sintetizzatori analogici quasi prog. Ghosteen appare come un fratello infinitamente più conciliante e più dolce di Skeleton tree del 2016. Mentre quell'album costringeva le sue melodie più belle a farsi strada con cautela attraverso campi minati di suono esplosivo e inquietante e paesaggi sonori discordanti, qui si ritrova un tessuto sonoro retto da armonie morbide e minimaliste. La voce di Cave, nel frattempo, suona più ricca. In un'età in cui i cantanti tendono a perdere parte della loro estensione vocale, Cave sembra invece acquisirla, basti ascoltare le note che raggiunge in The Spinning Song in cui aleggia l’ombra del sempre amato Elvis Presley.
Alla sublimazione e concentrazione del linguaggio musicale fa da contraltare una densità poetica e una spessore visionario e surreale dei testi che mettono insieme i consueti riferimenti biblici, la figura di Gesù ricorre più volte, ad accensioni letterarie che echeggiano da vicino William Butler Yeats, Sylvia Plath e William Blake. Alle visioni di galeoni che solcano i mari per approdare in cielo si sovrappongono le immagini di treni interpretati in chiave gospel come veicolo di viaggio verso l’aldilà, fantasie di foreste bagnate di luce, cavalli iridescenti, farfalle si alternano alla dimensione fiabesca rievocata dalla magnifica title track che riprende la favola britannica Goldilocks and the Three Bears. Qui si compone un bozzetto struggente e surreale con mamma orsa che tiene il telecomando, papà orso che si rilassa mentre il piccolo orsacchiotto se n’è andato sulla luna con un battello. “Non c’è nulla di sbagliato nell’amare qualcosa che non puoi tenere in mano, seduto sul letto fumi e scuoti la testa”, canta Cave, cercando di ritrovare un senso al dolore, alla perdita apparentemente senza consolazione, consegnandoci uno dei suoi album più belli e intensi che definire capolavoro non sembra azzardato.