Prima di ogni concerto, una flebile nota di oboe suggerisce la nota che guiderà l’intonazione di tutta l’orchestra: perché e quando si è scelto questo strumento per svolgere questa delicata, fondamentale e ormai rituale pratica.
Chiunque sia andato ad un concerto di musica per orchestra avrà sicuramente potuto ascoltare, nei minuti che precedono l’esibizione, la flebile nota di un oboe che rappresenta il primo segnale di vita dell’orchestra. È proprio lo strumento appartenente alla famiglia dei legni a dare il “la” al primo violino che insiste sulla nota facendo scorrere a lungo l’archetto su una delle quattro corde dello strumento. È, questo, il momento cruciale dell’accordatura di tutti gli strumenti che intervengono, settore dopo settore, creando lunghi momenti di anarchia musicale, una sorta di caos armonico nella cornice della sua apparente disarmonia. Una vera e propria esplosione di suoni che ci ha più di una volta fatto venire alla mente il caos della creazione, il mito della nascita del mondo e delle stelle.
La scelta dell’oboe come strumento per l’intonazione e dettata dal fatto che esso, come tutti gli strumenti a fiato, è ad intonazione fissa, la quale è determinata dalla dimensione della colonna d'aria interna. L'ancia che vibra serve solo ad eccitare la colonna d’aria interna allo strumento. Completamente diverso è il meccanismo d'intonazione degli archi dove l'intonazione dipende dalla tensione della corda e quindi è facilmente variabile. Negli strumenti ad intonazione fissa il La è stato convenzionalmente fissato a 880 hertz, ovvero vibrazioni al secondo. O 440 che però è lo stesso come effetto acustico, essendo solo spostato di un'ottava sotto, cioè metà frequenza.
Ci si potrebbe chiedere perché, se c'è, non si usa il pianoforte che è uno strumento preaccordato quindi avrà anche questo strumento ha il la a 880 Hertz e la sua accordatura è notevolmente stabile in virtù della sua struttura complessa. In realtà, il pianoforte è uno strumento percussivo non cantabile a suono prolungato e quindi poco efficiente allo scopo. L'orecchio del suonatore d'arco ha bisogno di un suono prolungato per confrontarlo con il suo che sta regolando.
Un altro motivo che ha spinto a designare proprio l’oboe a questa funzione è rappresentato dalla sua presenza costante all’interno delle orchestre: nel tempo flauti, fagotti, corni francesi e clarinetti sono entrati e usciti dall'orchestra; ma gli oboi sono stati quasi sempre inseriti in partiture orchestrali. Quindi, anche per questo, sono diventati lo strumento standard per l'accordatura.
Anche se bisogna precisare che non è sempre stato così. Quando alla fine del XVII secolo emersero le prime orchestre, erano formate principalmente da suonatori d'archi. Mentre l'attenzione era rivolta agli strumenti a corda, a volte venivano usati gli oboisti per rafforzare il suono della sezione del primo e del secondo violino. Ma poi, i compositori iniziarono a rendersi conto che il tono brillante e canoro dell'oboe poteva essere utilizzato meglio. Cominciarono a scrivere parti separate per lo strumento e persino a creare concerti per lo strumento (ad esempio, il Concerto per oboe in re minore di Albinoni).
Come qualsiasi altro strumento, gli oboi possono essere accordati in diesis o in bemolle. Ma la maggior parte degli oboisti usa un accordatore elettronico per assicurarsi che il proprio La sia giusto. In teoria, l'intera orchestra potrebbe utilizzare l'accordatore elettronico per accordare. Con ogni probabilità quest’ultimo è in grado di produrre una nota più coerente e accurata rispetto a un oboe.
Ma pensiamo che sarebbe un peccato perdere questa tradizione. È sorprendentemente difficile immaginare un concerto senza quel rassicurante suono iniziale dell’oboe che dà via al il chiacchiericcio orchestrale, proprio mentre ci si siede al proprio posto e si imposta il telefono in modalità silenziosa, prima che la magnifica orchestra al completo suoni a tono.