Dalla Danza macabra di Camille Saint-Saëns a Psycho di Bernard Herrmann, passiamo in rassegna alcuni brani del repertorio classico che si sono confrontati con emozioni legate all’angoscia e alla paura. Ne risulta una playlist che non mancherà di suscitare una buona dose di brividi, in questo caso, riconducibili ad una duplice matrice, da un lato un sentimento angoscioso e dall’altro il puro godimento estetico.
Si avvicina la notte più orrorifica dell’anno, quella tra il 31 ottobre e il primo novembre in cui si rievoca la leggenda di Jack o’Lantern. Un evento che richiama milioni di persone, diventato familiare anche alle nostre latitudini e che come tutte le feste di atmosfera non può non giovarsi del giusto accompagnamento musicale.
Quando si pensa ad una musica che possa creare un’atmosfera lugubre e di tensione emotiva, la mente corre immediatamente a colonne sonore di film o al repertorio pop che, tra heavy metal e rock, ha regalato tutta una serie di brani diventati iconici e capaci di provocare brividi e destare inquietudine.
Esiste, però, anche tutto un repertorio di musica classica capace di evocare batticuori e trepidazione. Anche i grandi compositori della storia della musica sanno come far tremar le vene e i polsi e rizzare i capelli. Di seguito forniamo alcuni degli esempi più rappresentativi del genere, per cui, d’ora in poi, invitiamo il lettore ad armarsi di coraggio per continuare intrepido la lettura e iniziare l’ascolto.
Si tratta di un breve poema sinfonico composto nel 1874 da Camille Saint-Saëns che trae ispirazione tra l’altro da un poemetto grottesco scritto da Henri Cazalis sulla scorta della rinomata ballata di Goethe che aveva creato una scena parodistica in cui la morte suonava un violino scordato in un cimitero. Un film horror autentico in forma musicale: la morte appare, evoca i morti dalle loro tombe e li conduce in una danza diabolica. Al suo interno anche una citazione dal canto gregoriano Dies Irae che concorre a rendere il brano ancora più incisivo e pregnante.
Il brano fa parte della Suite Sinfonica op. 46, le cui musiche furono inizialmente concepite da Edvard Grieg come musica di scena per il Peer Gynt, poema drammatico in cinque atti di Ibsen. La rappresentazione di Grieg di una grotta piena di troll, gnomi e goblin si trasforma dal nulla in una frenesia diabolica: un vero e proprio pandemonio di demoni. “Il tema del brano Nell’Antro del Re della Montagna comincia lento e silenzioso nei registri più bassi dell’orchestra, affidato a violoncelli, contrabbassi e fagotti. Viene poi riesposto a distanza di una quinta giusta, leggermente modificato da note ascendenti e nella compagine strumentale impiegata. Il resto della partitura consiste in una vorticosa intensificazione degli elementi musicali di sostegno al tema, che nel finale coinvolge anche le pulsazioni ritmiche, in un accelerando che, dopo pause e accordi interlocutori, esplode con un urlo in si minore” (cfr. https://www.smim.it/nell-antro-del-re-della-montagna-partitura/).
L’opera trae lo spunto iniziale da una tormentata vicenda biografia e sentimentale che vede il musicista protagonista di cocenti delusioni d’amore come quella per l’attrice Harriet Smithson, o per la pianista Camille Moke, che a lui preferì Camille Pleyel. I propositi omicidi e suicidi maturati dal compositore trovarono sublimazione in questa partitura che risente inevitabilmente dello stato d’animo tormentato del compositore. Particolarmente in tema con il nostro argomento il quinto e ultimo movimento che vede “il protagonista al centro di un tribunale infernale animato da un convegno di streghe, circondato da una schiera orribile d’ombre, di mostri d’ogni sorta riuniti per le sue esequie. Strani rumori, gemiti, scoppi di risa, grida lontane… La melodia amata ricompare, ma ha perduto ogni carattere di nobiltà e timidezza; non è più che un ignobile motivo di danza, triviale e grottesco; è Lei che giunge al Sabba e si mescola alle altre tristi figure. Si odono i rintocchi di una campana a morto, cui si unisce la parodia grottesca del «Dies irae», l’inno gregoriano per la sequenza dei defunti ed un finale gradiosamente ironico nel quale si celebra che “giustizia è fatta” (https://www.blogdellamusica.eu/symphonie-fantastique-di-hector-berlioz/).
Il brano iconico di Bach per organo si apre con un accordo di settima diminuita che fa sempre rabbrividire. Suonato ad alto volume e su un organo enorme ha un effetto a dir poco terrificante.
Tratti da una raccolta di canzoni medievali composte da studenti e chierici tedeschi anonimi intorno al 1150 i Carmina Burana sono una delle opere più conosciute di Carl Orff. In particolare “il coro potente e drammatico O fortuna è entrato di diritto nella musica classica contemporanea e nell’immaginario collettivo. Arrangiato per la prima volta nel 1937, esso viene frequentemente riproposto e utilizzato in situazioni come film, spettacoli teatrali o circensi e spot pubblicitari per ricreare atmosfere inquietanti di richiamo tipicamente medievale. O fortuna dei Carmina Burana mette in rilievo l’impotenza umana di fronte alla cecità della fortuna e alla crudeltà della cattiva sorte; un sentimento costantemente presente nel cuore degli uomini del Medioevo, quando guerra e peste falcidiavano inesorabilmente le popolazioni e rendevano molto precaria la condizione quotidiana di vecchi e giovani, miserabili e ricchi. L’atmosfera agghiacciante del coro tende ad evocare la classica immagine della morte riportata dall’iconografia del tempo: l’orrendo teschio avvolto dal mantello nero con la falce alla mano” (http://www.giorgiogambini.it/o-fortuna/).
Questa composizione, scritta nel 1897 da Paul Dukas, descrive in musica la trama della celebre e omonima ballata di Wolfgang Goethe, L'apprendista stregone (Der Zauberlehrling) scritta esattamente cento anni prima. Un giovane apprendista testardo fa un incantesimo su una scopa in modo da non dover andare a prendere l'acqua ogni giorno. Ma poi la scopa non si ferma e ne deriva un incubo.
L’aspetto drammatico e quasi teatrale del Requiem di Giuseppe Verdi è legato alla grandiosa rappresentazione dell’apocalisse, attraverso il Tuba mirum, ma prima ancora il Dies irae, che rappresenta una sorta di filo conduttore ripreso, in maniera insolita rispetto alla consuetudine, in successive sezioni e persino nel Libera me. Il Dies irae iniziale, nel quale sia l’orchestra sia il coro sono spinti al massimo delle loro potenzialità, mette in scena, con voluta violenza sonora e in forma quasi drammaturgica, una sorta di uragano spaventoso che tutto spazza via nel suo turbinare: speranze, aneliti, sentimenti, legami e affetti. La tempesta, di tanto in tanto, finalmente sembra acquietarsi, e tuttavia resta in qualche modo presente come minaccia latente, momentaneamente sopita ma destinata a ripresentarsi di nuovo, più e più volte, irrompendo con repentina e indifferente crudeltà nel tranquillo dispiegarsi dell’esistenza.
L’opera di Mozart inizia con uno stupro e con l’uccisione del padre della vittima e termina con la statua funebre di quest’ultimo che presenta al desco di Don Giovanni per trascinarlo all’inferno. In questa scena la voce profonda e solenne del Commendatore è accompagnata da tromboni che le donano una coloratura soprannaturale, una sorta di "sigillo sonoro dell'aldilà". La musica invece è quella già udita nell'ouverture, con i suoi accordi, le sue scale e il suo ritmo che evoca un mondo metafisico, e un'orchestrazione colma di accenti inquietanti (cui non sono estranee dissonanze quasi dodecafoniche) che si ripresenta qui come a chiudere un cerchio.
Terminiamo con uno dei più grandi autori di colonne sonore della storia, anche lui un classico ormai: Bernard Herrmann. È lui il responsabile della famosissima musica nella sequenza del bagno di Psycho, che, tra l'altro, non avrebbe dovuto avere colonna sonora nelle intenzioni originali del regista. Tutta la musica di Psycho è tra le più memorabili della storia del cinema pur se eseguita esclusivamente da archi, senza mai l'aiuto di strumenti a fiato. La versione che vi abbiamo proposto del pezzo è quella di Joachim Horsley, che ha avuto la singolare idea di utilizzare due coltelli, l’oggetto scenico principe della sequenza, come strumenti musicali.