La figura del musicista ispira tutto un frasario ricorrente che non manca di irritare il diretto interessato e svelare una precisa percezione della sua professione che, purtroppo, è diventata luogo comune. A titolo esemplificativo, abbiamo messo insieme una lista delle più diffuse e stereotipate frasi che i musicisti, loro malgrado, si sentono rivolgere nel corso della loro attività.
Tempo fa un articolo apparso su Rockit ha stilato un elenco delle frasi che in maniera ricorrente vengono rivolte ai musicisti, una serie di stereotipi che ancora gravitano intorno a quegli strani esseri che hanno deciso di dedicarsi interamente alla propria passione. Dietro l’intento ironico si può, in ogni caso, scorgere in filigrana, come avviene per tutti gli stereotipi, una precisa maniera di intendere la figura del musicista e il suo ruolo all’interno della società. Prendendo spunto da quell’elenco, abbiamo stilato una nostra lista di frasi e domande che chiunque abbia esperienza musicale si è sentito rivolgere almeno una volta nella vita.
La relazione tra talent e accesso al mondo della musica appare la cosa più naturale e scontata al giorno d’oggi, al punto, che può apparire come un buon consiglio quello di parteciparvi.
Tra la ricezione dell’informazione di trovarsi dinanzi ad un musicista e la pretesa che lo stesso svolga la funzione del jukebox, intercorre il tempo di un battito di ciglia . Una domanda che, tra l’altro, ingenera nel musicista tutta una serie di lambiccamenti su come soddisfare la richiesta, che il più delle volte non aspira ad altro che al solito giro di DO.
Quando si scorge qualcuno con il microfono in mano scatta subito il riflesso condizionato da pianobar o sagra paesana, un riflesso capace di generare nel musicista che lo riceva lo sconforto più profondo.
Per chi pronuncia questa infausta sequenza di parole magari vorrebbe essere un complimento, per il musicista che lo riceve somiglia ad un colpo mortale alla propria vena creativa e amor proprio. Chi facendo musica in proprio non aspira ad apparire il pallido epigono di qualcun altro?
Questa semplice frase equivale alla negazione di tutti i sacrifici e l’impegno che un musicista ha profuso per potersi considerare tale. Nel caso di un musicista da conservatorio, nello specifico, significa ignorare decenni di formazione accademica, studio e lezioni.
Visto che la nazionalità di origine è un dettaglio che sfugge ad alcuni, c’è sempre qualcuno che è pronto a farglielo notare. Non si prende nemmeno in considerazione la possibilità che la scelta sia frutto di una precisa intenzione espressiva e creativa.
Vedi il punto precedente. Quando non si ha paura dell’ovvio.
In realtà no, c’è chi si ostina ancora a imbracciare uno strumento cercando di dare forma alle proprie emozioni facendolo risuonare. Fermo restando che musicale digitale e analogica possano interagire con profitto.
Secondo questo punto di vista, la musica dovrebbe essere gratuita e quindi, le ore di studio e applicazione del musicista insieme al lavoro di tutti quelli che supportano tecnicamente una produzione musicale, semplicemente non dovrebbero essere retribuite.
Secondo il sentire comune, il passaggio radiofonico è l’unica prova ontologica dell’esistenza come musicista; senza di essa, semplicemente non esisti, né si può concepire il tuo essere un musicista in attività.
Veniamo alla domanda principe, quella che sicuramente tutti musicisti si sono sentiti rivolgere almeno una volta nella vita. Campare di sola musica appare per molti come un’impresa al di là dell’umano. La maggior parte della collettività pensa ancora che fare il musicista sia solo un hobby. Del resto, lo diceva già la madre di Guccini: “un laureato conta più di un cantante”.