La carica espressiva del silenzio: il finale della Nona Sinfonia di Mahler diretta da Abbado

Esistono attimi di musica-silenzio che sembrano dilatare il tempo e caricarlo di significati e per quanto vengano celebrati in pubblico sembrano appartenere in maniera esclusiva la musicista che li evoca. Il lungo istante in apnea (secondi o minuti?), creato da Claudio Abbado al termine di una sua esecuzione della Nona Sinfonia di Mahler è qualcosa di unico, che suscita ammirazione e una profonda commozione.

Tra le sinfonie di Gustav Mahler la numero nove, unica ad essere stata composta in una sola estate, risale a uno dei periodi più tragici del compositore: la perdita della figlia primogenita nonché la diagnosi di una malattia che l’avrebbe portato alla morte.

Nonostante la scelta di una tonalità aurea, re maggiore, ci troviamo di fronte a un vero e proprio testamento spirituale del compositore austriaco, i cui lugubri tormenti sono improvvisamente rasserenati da improvvisi spiragli luminosi.

Se nel primo movimento si può rintracciare un preannuncio di morte che sembra coesistere in un miracoloso equilibrio con un rassegnato desiderio di vivere, il Ländler del secondo movimento prende le movenze di una danza rustica che converge in un valzer trasfigurato, inserito in un discorso assai frammentario.

Il Rondò-Burleske, di intento parodistico, rappresenta un autentico capolavoro in cui l’austera arte del contrappunto viene illustrata con affilata ironia e in cui, all’improvviso, si apre una parentesi corale di mirabile bellezza che anticipa il culmine dell’Adagio finale. In quest’ultimo movimento il discorso musicale di Mahler si fa ultraterreno. Memorabili le ultime battute che sembrano spegnersi in un impercettibile pianissimo, che si dissolve in un lunghissimo silenzio, immancabilmente capace di lasciare il pubblico in un’estasi di profondo raccoglimento.

L’interpretazione che ha dato Abbado di questo silenzio, in una sua celebre esibizione del 2004 con la Gustav Mahler Jugendorchester, è qualcosa di semplicemente straordinario e impossibile da dimenticare. Angelo Foletto l'ha raccontata con queste parole: “In duemila, sprofondati in un silenzio sbalordito. Incapaci di capire se quel che si sentiva distintamente era la coda del suono reale, un'eco di emozioni sovrapposte e compresse dopo ottanta minuti di musica rovente, o il desiderio di sprofondare per sempre nella toccante bellezza dolorosa dell’ultimo movimento della Nona, scolpita con accesa mestizia tragica dalla lettura di Abbado. Certo sarà difficile scindere l’estenuata discesa nel nulla del canto delle viole dall' immagine del direttore che si incanta in un gesto ieratico e semplice. La mano sinistra è spalancata a imprigionare per l’ultima volta il suono degli archi, la destra non riesce a soffocare una sorta di vibrazione rabdomantica (di tensione, di fatica anche): poi si abbassa con lentezza sofferta e solenne mentre un silenzio impietrito si fonde all'immobilità elettrica dei leggii. La Gustav Mahler Jugendorchester dopo aver magnificamente assecondato Abbado nelle volute incendiarie e drammatiche della partitura, assapora con lui quell' attimo unico di magia musicale. Solo l’ovazione del pubblico riconoscente e stregato rompe l’incanto”.

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