Eva Maria, il suo violino e l’orrore di Auschwitz

La storia vera e struggente di una ragazza di nome Eva Maria Levy Segre, arrestata dai nazisti e deportata ad Auschwitz, e del suo violino che lei riuscì a conservare nel campo di sterminio , diventato, decenni dopo, prezioso testimone della sua tragedia.

 

violino di Auschwitz

Questa storia prende l’avvio in un negozio di liuteria di Torino negli anni Trenta del secolo scorso, dove si reca un distinto signore per comprare un violino per la propria figlia. Il papà sceglie lo strumento più bello presente in bottega e subito, a casa, Eva Maria detta "Cicci" comincia entusiasta a saggiarne le doti musicali suonando “Il cigno” di Saint-Saëns. Eva, che si esercita con il fratello, ha una spiccata propensione per la musica e potrebbe cominciare una carriera da violinista, ma la storia ha in serbo per le ragazze come lei tutt’altro destino. Nel 1938, quando Cicci ha 17 anni, vengono promulgate le infami leggi “della razza” volute da Mussolini e dal re Vittorio Emanuele III. La vita degli ebrei, in Italia, non sarà più la stessa: ai giovani vieni impedito di andare a scuola, agli adulti di esercitare le professioni, donne, uomini, bambini precipitati un insensato gorgo di odio, sopraffazione, rivalsa, drammatica anticamera di sviluppi ancora più drammatici. Sviluppi che si concretizzano con l’entrata in guerra dell’Italia e poi con il caos dell’8 settembre 1943, e l’inizio della caccia agli ebrei e dei rastrellamenti.

La famiglia di Eva, come quella di tanti altri nelle stesse condizione, è  costretta a cercare la fuga e lascia Torino nel tentativo di raggiungere l’Inghilterra attraverso la Svizzera. La speranza di sfuggire alla persecuzione naufraga subito e il 12 novembre 1943 i soldati tedeschi fanno irruzione nella casa dove Eva Maria e i suoi si erano rifugiati travolgendo ogni cosa e obbligandoli a seguirli alla svelta. Ma come è possibile scegliere in mezz’ora quello che può essere stipato in una sola valigia, senza nemmeno sapere dove si è diretti, per quanto tempo si starà via e cosa davvero potrà essere utile? La ragazza ha una sola certezza: prendere il violino e portarlo ovunque sia diretta, sia pure all’inferno. E così fa, anche quando i soldati le intimano, alla stazione di Milano, di lasciare a terra il bagaglio, e lei nasconde lo strumento sotto il cappotto. Nel tremendo viaggio che porterà Eva verso Auschwitz, la ragazza non si separa mai dal suo violino, lo tiene stretto a sé forse presagendo che quel piccolo oggetto di legno e corde può rappresentare l’unico possibile scudo contro la paura e le brutture del mondo.

Ad accoglierli all’arrivo il famigerato cancello recante la frase “Arbeit macht frei”. Solo i due fratelli superano la selezione, ma vengono separati. Eva Maria, proprio grazie al suo violino, viene portata a Birkenau, dove entra a far parte di un’orchestra femminile e questo le consente di evitare le più estenuanti fatiche nel campo e godere di qualche “privilegio”. Enzo, invece, viene destinato a Monowitz dove lavora per un’azienda produttrice di gomma sintetica. Riusciti miracolosamente a mettersi in contatto, Enzo le fa arrivare su un pezzo di carta il disegno di un rigo musicale con una breve melodia e una scritta “Der Musik macht frei”. Eva Maria incolla il pezzo di carta all’interno della cassa armonica del suo strumento con sopra incisa una stella di Davide, una sorta di messaggio in bottiglia che riesce ad arrivare fino a noi.

Un giorno il suo fragile scudo di legno e corde si rompe, la breve parentesi di tregua regalatale dalla musica si chiude drammaticamente, non potendo più suonare, Eva Maria viene rimandata fra le detenute comuni. Senza più musica, quella magia fatta di note a cui si era aggrappata come estremo simbolo di libertà e bellezza nonostante tutto, la giovane si lascia morire e, il 6 giugno 1944, il suo cadavere viene bruciato nei forni. Di lei resta solo un violino guasto che il fratello Enzo, unico sopravvissuto, riesce a recuperare e a salvare dalla distruzione. Ritornato a casa, lo affida ad un liutaio per farlo restaurare, ma non torna più a riprenderlo e, aggiungendo dramma al dramma, si toglie la vita nel ‘58.

Il violino, e con lui la storia che porta impressa, sembra consegnato all’oblio, fino a quando nel 2014 un ingegnere di Milano con l’amore per gli strumenti musicali, il signor Carlo Alberto Carutti, lo scova presso un antiquario di Torino. Nella cassa armonica dello strumento è ancora presente il biglietto su cui è stato tracciato il pentagramma con sopra quella breve frase musicale a canone inverso e quel numero di matricola, 168007, che Enzo Levy portava sul braccio, il numero abietto della prigionia, l'agghiccinate ratifica ragionieristica del progetto di sterminio.

Dopo il ritrovamento, il nuovo proprietario si impegna a ricostruire la storia del violino e della tragedia di cui è stato testimone e la consegna ad un editore Roberto Cicala. Questi decide che la vicenda di Eva Maria, in un significativo passaggio di testimone, deve diventare un libro per bambini perché “i bambini hanno una forte idea di giustizia e gli adulti troppo spesso sottovalutano la loro capacità di comprendere e la loro maturità di riflessione”, come ha dichiarata Anna Lavatelli, la scrittrice premio Andersen, cui Cicala affida questa materia dolorosa per trasformarla in racconto. Ne viene fuori un volume dal titolo Il violino di Auschwitz con illustrazioni di Cinzia Ghigliano, un piccolo commovente libro sulla Shoah diverso dagli altri, un libro affidato alla voce narrante di un violino che continua a ricordarci che i grandi amori e le grandi passioni, come quella per la musica, non muoiono ma riescono a sopravvivere alle tragedie e al dolore senza fondo, regalando un orizzonte di luce e libertà anche là dove sembra impossibile.

 

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