Quella dell’effetto Mozart è una celebre teoria che ha goduto di grande eco a partire dalla sua pubblicazione sulla prestigiosa rivista Nature. Diversi studi successivi si sono pronunciati sull’attendibilità del modello esplicativo elaborato da Rauscher e in tempi più recenti si sono aperte nuove possibili interpretazioni.
Il cosiddetto effetto Mozart fu reso noto al grande pubblico nel 1993. Risale a quell’anno la pubblicazione su Nature dei risultati di uno studio condotto da Rauscher, Gordon Shaw e Catherine Ky dell'Università della California ad Irvine, secondo il quale, facendo ascoltare a dieci studenti una sonata mozartiana, questi dimostravano un sensibile miglioramento delle loro capacità visuo-spaziali. Il brano utilizzato nell’esperimento era la Sonata per due pianoforti in Do Maggiore (K448) di Mozart, e i risultati ottenuti indussero i ricercatori a denominare effetto Mozart l’influenza della musica sul ragionamento spaziale. Sfruttando la risonanza mediatica dello studio, Don Campbell, un insegnante di musica del Texas, capitalizzò l'idea scrivendo un bestseller, The Mozart Effect, in cui discuteva la teoria secondo cui l'ascolto di Mozart (in particolare i concerti per pianoforte) può aumentare temporaneamente il proprio QI e produce molti altri effetti benefici sulla funzione mentale. Campbell raccomandava di suonare musica classica appositamente selezionata per i bambini, nella speranza che potesse favorire il loro sviluppo mentale.
Secondo la teoria dell’effetto Mozart l’ascolto della musica del compositore austriaco genera l’attivazione di pattern neuronali all’interno di aree corticali implicate in attività di ragionamento spazio-temporale, e in particolare la corteccia temporale, la corteccia dorso laterale pre-frontale, la corteccia occipitale, il cervelletto.
Studi successivi hanno approfondito e messo in discussione questa teoria, identificando aspetti più generali che possono essere ritenuti efficaci nel rappresentare le prestazioni dei soggetti oggetto di osservazione. Chabris ha riportato una meta-analisi che dimostra che "qualsiasi miglioramento cognitivo è minimo e non riflette alcun cambiamento nel QI o nella capacità di ragionamento in generale, ma invece deriva interamente dalla prestazione su un tipo specifico di compito cognitivo e ha una semplice spiegazione neuropsicologica", chiamata "arousal di godimento" (condizione temporanea del sistema nervoso, in risposta ad uno stimolo significativo e di intensità variabile, di un generale stato di eccitazione, caratterizzato da un maggiore stato attentivo-cognitivo di vigilanza e di pronta reazione agli stimoli esterni). Ad esempio, Chabris cita uno studio condotto da Nantais e Schellenberg che ha scoperto che "ascoltare Mozart o un brano di una storia di Stephen King ha migliorato le prestazioni dei soggetti nel piegare e tagliare la carta (uno dei test frequentemente impiegati da Rauscher e Shaw) ma solo per coloro a cui è piaciuto quello che hanno sentito". Steele è giunto alle medesime conclusioni osservando che "l'ascolto di Mozart ha prodotto un aumento di 3 punti rispetto al silenzio in un esperimento e una diminuzione di 4 punti in un altro esperimento", giungendo alla conclusione che i fattori capaci di agire in direzione di un miglioramento delle prestazioni cognitive sono un innalzamento del livello di attivazione e una variazione positiva dell’umore secondo le ipotesi confermate da Nantais e Schellenberg e Thompson et al.
Alla luce dei successivi sviluppi di ricerca, gran parte della comunità scientifica giudica oggi la teoria dell'effetto Mozart un mito e poco attendibile il modello esplicativo elaborato Rauscher, propendendo per elementi esplicativi più generali che indicano l’origine della migliore riuscita in compiti di intelligenza cognitiva in un aumento dell’arousal e un miglioramento del tono dell’umore generato da stimoli generici comunque in grado di sollecitarli.
In tempi più recenti, Barbato e altri, pur esprimendo un ulteriore conferma degli studi appena citati, hanno messo in evidenza un elemento di riflessione ulteriore nel momento in cui hanno potuto osservare nei soggetti sperimentali un arousal superiore, per quanto su numeri non statisticamente rilevanti, dopo l’ascolto di un brano di Mozart rispetto ad un pezzo di musica jazz. Diventa interessante, partendo da questo rilievo, poter approfondire l’esistenza di un effetto Mozart di minore portata che è possibile riconnettere alle peculiarità armoniche e melodiche di quelle composizioni, che potrebbero avere una maggiore e più profonda capacità di coinvolgimento delle zone del cervello che sovrintendono al controllo dell’umore e dell’arousal.