Contro la musica di sottofondo

Contro la musica di sottofondo

Nicola Piovani conduce da anni una strenua battaglia contro la musica di sottofondo da lui definita musica passiva, richiamando, con questa espressione, l’altrettanto urticante e controproducente fumo passivo.

Il noto compositore la descrive in questi termini: «quella musica diffusa ormai in molti ambienti pubblici, a basso volume, ma comunque invadente: il cosiddetto sottofondo, la musica da parati, una via di mezzo fra la musica "a palla" e il ronzio del condizionatore d'aria. All'inizio del secolo scorso Eric Satie teorizzò la pratica della "Musique d'ameublement", musica d'arredamento. Provocava giocando, Satie: ma è successo spesso che provocazioni trasgressive delle avanguardie storiche sono poi diventate pane quotidiano della società consumistica».

Vera e propria musica da tappezzeria che utilizza indifferentemente l’ultima hit del momento o, con velleità di impegno, i quartetti di Mozart o arie d’opera, la musica di sottofondo è ormai diventata pervasiva e onnipresente e ridotta a puro strumento di marketing equiparato a un servizio in più, per aumentare la soddisfazione del cliente e, di conseguenza, incrementarne la propensione all’acquisto.

Questo approccio porta inevitabilmente ad un uso superficiale e poco rispettoso anche dei messaggi veicolati dalla musica e può capitare, come scrive Piovani, che si diffondano «canzoni i cui testi, in quei contesti, risultano a fatica decifrabili. E a soffermarsi nell'ascolto spesso si scopre che la voce in diffusione ci sta cantando un amore straziante, o un dramma sociale, o una protesta antisociale; mentre noi compriamo surgelati o arrotoliamo bucatini».

Questo uso indiscriminato e poco accorto, non solo avvilisce la musica e il lavoro dei musicisti, ma ne sfrutta impropriamente i diritti, come certifica una recente indagine condotta da Nielsen Music e pubblicata da Soundtrack Your Brand. Secondo lo studio, globalmente il settore perde $2,65 miliardi ogni anno a causa di piccoli esercizi commerciali che utilizzano impropriamente account di streaming.

Non tutti gli esercenti commerciali sanno che anche per trasmettere musica di sottofondo in un negozio, ristorante o luogo pubblico è necessario rispettare regole di copyright affatto diverse da quelle che governano l’uso personale di piattaforme come Spotify e Apple Music. Secondo lo studio, però, solo il 17% di questi esercizi commerciali sarebbe in regola, mentre il restante 83% continua a utilizzare musica illegalmente e, soprattutto, la maggior parte degli imprenditori è convinta di poter utilizzare il suo account privato per trasmettere musica di sottofondo negli esercizi commerciali.

«I risultati non ci hanno sorpreso più di tanto», dice Andreas Liffgarden, co-fondatore di Soundtrack Your Brand. «È la portata del fenomeno a scoraggiarci. L’industria della musica nel suo complesso ha bisogno di educare i consumatori. Tutti capiscono istintivamente che non è possibile utilizzare un account Netflix per aprire un cinema – tutti starete dicendo “certo, è ovvio” – ma per la musica non è così. Nell’industria televisiva o cinematografica è scontato, ma nella nostra industria questo tipo di educazione è assente».

Emerge chiaro che, laddove è impossibile aspettarsi un sussulto di civiltà e rispetto per la musica e per la sua reale funzione, occorre rendere consapevoli gli esercenti commerciali, il 42% dei quali sostiene che la musica è “molto importante” per la loro attività, dei meccanismi di copyright che regolano la diffusione della musica di sottofondo. In altre parole, se i gestori di locali e negozi vogliono continuare con il loro uso strumentale dell’arte, che almeno contribuiscano al suo finanziamento, affinchè, per un’eterogenesi dei fini, la musica possa continuare a dare voce e suono alle nostre emozioni e pensieri più veri.

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