Una musica può rallegrare, fare compagnia, assicurare intense esperienze estetiche, ma, grazie alla sua capacità di agire a più e profondi livelli, può venire incontro a molte altre esigenze alcune davvero impreviste e impensate. Ne passiamo in rassegna alcune in questo articolo.
La musica fa bene al cuore e non solo in senso metaforico ma in senso stretto. Una adeguata musica rilassante con i suoi effetti di riduzione della pressione sanguigna, del battito cardiaco e di diminuzione dei livelli di ansia è un’utile alleata nelle convalescenze di pazienti reduci da infarto o da operazioni cardiache. Una musica dinamica e allegra, a maggior ragione se gradita, favorisce la salute del cuore con la sua benefica azione vasodilatatoria e di intensificazione della circolazione sanguigna.
Anche nel caso di nascite pretermine la musica può svolgere un ruolo importante come dimostra una indagine di alcuni ricercatori canadesi che hanno potuto osservare come facendo ascoltare musica a neonati prematuri questi riescano ad aumentare di peso più velocemente, a sopportare meglio il dolore, ad acquisire abitudini alimentari migliori. Individuato anche il genere musicale prediletto, che è la classica con una decisa preferenza per Mozart e più in generale, per i suoni che richiamano i rumori attutiti dell’utero materno e il battito cardiaco della madre: i primi aiuterebbero il sonno dei neonati in ospedale, i secondi avrebbero un effetto calmante e rilassante.
Esiste ormai una letteratura piuttosto corposa e accreditata che ha messo in evidenza il ruolo positivo della musica nel caso di pazienti con malattie neurodegenerative o che hanno subito lesioni cerebrali. È stato dimostrato che ascoltare la propria musica preferita aiuta l’umore e migliora la collaborazione nel caso di pazienti colpiti da ictus, o che stimolazioni sonore ritmiche possono favorire in maniera sensibile il recupero di determinate funzioni sonore e linguistiche. Nel caso del di pazienti affetti da morbo di Parkinson, il ritmo delle note musicali permette alle persone di ritrovare un passo simmetrico e il senso dell’equilibrio.
Non solo gli esseri umani, ma anche i vegetali parrebbero giovarsi dell’ascolto della musica, che ne favorirebbe la crescita e il benessere. Si tratta di una tesi che è stata variamente sostenuta e che ha trovato una prima espressione sistematica nel volume The Sound of Music and Plants pubblicato nel 1973 da Dorothy Retallack, una docente universitaria del Colorado. In uno dei suoi esperimenti ha fatto ascoltare musica rock e classica a due diversi gruppi di piante. Nel caso della musica classica, la studiosa ha potuto osservare che le piante crescevano attorno agli altoparlanti e quasi accarezzavano la fonte sonora. Nel caso della musica rock, le piante sembravano attivamente allontanarsi dalla fonte musicale.
La musica è un grande aggregatore sociale, capace di fornire identità di gruppo, come si può osservare in giovani e adolescenti. Quello appena citato è un aspetto piuttosto conosciuto, quello che non si sa è che può funzionare anche in senso contrario, ovvero allontanare da determinati luoghi e ritrovi in cui risuona chi non apprezza e non si riconosce in un determinato genere. Alcune biblioteche, hall di albergo o negozi utilizzano, non a caso, la musica classica per scoraggiare la presenza di clientela non appropriata (come potrebbe essere una audience molto giovane che spesso non gradisce il genere). Questo fenomeno ha una spiegazione scientifica dimostrabile e risiede nel fatto che il cervello, che ascolta qualcosa che non gradisce, inibisce la produzione di dopamina, l’ormone dell’appagamento e del piacere.
La musica non agisce solo con la sua componente melodica e più strettamente legata alle note, ma è anche un potente veicolo di messaggi e contenuti positivi. Uno studio britannico di qualche anno fa ha potuto osservare come l’ascolto di brani contenenti un messaggio sociale costruttivo favorisca negli adolescenti comportamenti collaborativi (ad esempio nel corso dell’esperimento i ragazzi si sono offerti ripetutamente di raccogliere la matita lasciata cadere per così dire accidentalmente dagli osservatori).
Un ascolto assiduo di musica può svolgere una importate azione di prevenzione dei problemi di perdita di udito legati all’avanzare dell’età. Anche in questo caso esiste uno studio condotto su 163 adulti divisi a metà tra musicisti e non che ha potuto appurare come i primi riescano a processare i suoni meglio rispetto ai secondi con una progressione che aumenta con l’età. Mediamente l’udito di un musicista di settanta anni riesce a distinguere i suoni in un ambiente rumoroso con la medesima efficienza dell’udito di un cinquantenne non musicista.
Non un semplice tappeto sonoro, ma, a quanto pare, un elemento capace di incidere concretamente sui livelli di una performance sportiva. Come dimostra uno studio della Georgia Southern University, la musica è in grado di fornire un supporto decisivo all’attività fisica a diversi livelli, in primo luogo favorisce la concentrazione prima di ogni performance, poi svolge una importante funzione nell’aiutare a controllare i livelli di attivazione fisiologica della corteccia celebrale (arousal) durante lo sforzo, infine, è uno straordinario incentivo al rafforzamento dello spirito di squadra. Uno studio della Brunel University (Londra) è riuscito a stimare la capacità della musica di aumentare la resistenza fisica fino al 15% in più. Sempre in ambito accademico inglese è stato dimostrato che la musica ha vero e proprio effetto dopante quantificabile, del tutto legale con ogni evidenza, riuscendo a migliorare le prestazioni sportive del 20%.
Uno degli ultimi filoni ricerca sulla dislessia ha ipotizzato una correlazione tra questo disturbo e difficoltà di tipo ritmico. In un recente studio condotto da diversi ricercatori di Trieste e Roma si è pensato di verificare se un allenamento di tipo musicale potesse avere delle ripercussioni positive anche sulle capacità di lettura in ragazzi dislessici. I risultati hanno, in effetti, dimostrato che i ragazzi sottoposti ad un allenamento musicale rispetto ad un altro gruppo che seguiva un training di pittura, hanno ottenuti punteggi più alti relativamente a correttezza nella lettura, capacità fonologiche e attenzione uditiva.
Adrian North ha condotto uno studio sul processo cognitivo innescato dalla musica di sottofondo sulla percezione del gusto del vino. Lo studio è stato condotto utilizzando 4 pezzi scelti di musica abbinati a 4 percezioni ricercate. Ad un campione formato da 250 adulti è stato offerto un bicchiere di vino in cambio di rispondere al questionario. L’osservazione ha potuto concludere che il gusto specifico del vino è stato influenzato in modo coerente con lo stato d’animo evocato dal sottofondo musicale. Se in sottofondo la musica era potente e pesante, allora il vino è stato percepito come tale, e in modo superiore rispetto a quando la stessa non era diffusa.