Come tutte le autentiche opere d’arte anche la musica del grande compositore di Bonn ammette una pluralità di chiavi interpretative per avvicinarne il mistero e la profondità. Una delle più originali è quella utilizzata da un gruppo di studiosi che ha cercato di rintracciare una diretta corrispondenza tra alcune singolari strutture ritmiche delle sue opere e i problemi cardiaci di cui era affetto.
Qualche anno fa sulla rivista Perspectives in Biology and Medicine è stato pubblicato un suggestivo studio che mette in relazione alcuni dei più grandi capolavori sinfonici scritti dal Ludwig van Beethoven con alcune aritmie cardiache di cui soffriva. Il genio di Bonn avrebbe letteralmente scritto sotto dettatura del proprio cuore alcuni particolari passaggi ritmici e musicali delle proprie partiture. Del resto, questo rapporto tra cuore, malattie cardiache e scrittura musicale era già stato ipotizzato per un altro grande compositore, ovvero Gustav Mahler, cardiopatico fin dall'infanzia per una valvulopatia mitralica post-streptococcica. Il suo cuore emetteva un suono patologico che la moglie Alma riusciva a percepire distintamente. La cardiopatia si complicò con una endocardite batterica che si rivelò fatale, portando il musicista alla morte nel 1911 all'età di 50 anni. Il cuore malato di Mahler si può ascoltare in alcuni passaggi musicali come nel primo movimento della Nona Sinfonia, l'ultima completata dal grande musicista.
Nel caso di Beethoven, l’ipotesi è stata avanzata da un team di ricercatori dell'Università del Michigan e di quella di Washington, che include un cardiologo, uno storico della medicina e un musicologo. “La sua musica potrebbe essere stata figurativamente e fisicamente di cuore”, afferma il coautore Joel Howell, professore di medicina interna presso la University of Michigan Medical School e membro della University of Michigan Institute for Healthcare Policy and Innovation. “Quando il cuore batte in modo irregolare a causa di un problema, segue una sorta di schema prevedibile. Noi pensiamo di sentire alcuni di questi schemi nella sua musica”. Prosegue significativamente Howell: “La sinergia fra le nostre menti e i nostri corpi determina il modo in cui viviamo il mondo. Ciò è visibile soprattutto nel mondo delle arti e della musica, che riflette così tanto le esperienze più intime delle persone”.
Una musica metaforicamente e realmente accorata quella del compositore tedesco come emerge dall’analisi degli schemi ritmici di diverse sue celebri opere che sarebbero la precisa trasposizione dell’affezione cardiaca che lo affliggeva. Si è sempre molto parlato delle malattie di cui soffriva il genio di Bonn, dall'asma alla sindrome del colon irritabile, da malattie renali alla cirrosi epatica. E gli storici si sono anche interrogati su come tali disturbi fisici potrebbero averne influenzato l’arte. Uno degli esempi più noti sono i problemi di udito che cominciarono a manifestarsi fin dai 30 e che portarono con il tempo Beethoven alla completa sordità, una condizione che avrebbe influenzato il suo stile via via che progrediva.
Nello studio che analizza la dettatura cardiaca delle note beethoviane, si cita il movimento finale Cavatina nel Quartetto d’archi in Si bemolle maggiore, Op. 130, un pezzo di profonda intensità emotiva che non mancava di commuovere il suo creatore. Verso la metà del Quartetto improvvisamente la chiave cambia in Mi bemolle maggiore, producendo uno squilibrio del ritmo che genera smarrimento e stati d’animo cupi. Non a caso, l’annotazione del compositore riportata per questa sezione recita “beklemmt”, una parola tedesca che si traduce come “pesantezza del cuore”. Gli autori dello studio sottolineano che questo termine, per quanto possa avere una valenza metaforica ed evocare una condizione di tristezza, potrebbe anche indicare una reale sensazione fisica, quel senso di pressione generato dalle malattie cardiache. “La qualità aritmica di questa sezione è indiscutibile”, annotano.
Altri esempi citati sono la Sonata per pianoforte in La bemolle maggiore, Op. 110 – la Sonata centrale in un gruppo di tre che comprende i contributi finali di Beethoven al genere – in questa partitura è possibile rinvenire una melodia che ricorda la mancanza di fiato legata a un’aritmia tachicardica e la Sonata per pianoforte n. 26, Op. 81a Les Adieux scritta durante l’attacco francese a Vienna nel 1809, in questo pezzo gli studiosi ravvisano nel movimento di apertura delle pause importanti e un ritmo sincopato e galoppante che sembra richiamare esplicitamente le extrasistoli, l’anticipazione di un battito cardiaco che dà una sensazione di vuoto o di colpo all’interno del torace.
Gli autori dello studio, tra cui vi è anche Steven Whiting, musicologo ed esperto di Beethoven della Universtiy of Michigan School of Music, Theatre and Dance, ipotizzano che proprio la sordità possa avere avuto un ruolo decisivo nell’acuire in Beethoven la consapevolezza del proprio battito cardiaco, da cui si sarebbe lasciato guidare fino a rendere credibile “la possibilità che il suo cuore pulsante possa letteralmente essere al centro di alcuni dei più grandi capolavori di tutti i tempi”.