La relazione tra musica e cura è conosciuta sin dai tempi antichi. Esiste oggi una vasta letteratura scientifica che conferma il potere benefico del linguaggio sonoro, al punto che oggi diventa sempre richiesta una figura professionale come quella dei musicoterapeuti, di cui approfondiamo ruolo storico, inquadramento professionale e percorsi di formazione.
Quella dei musicoterapeuti è una figura professionale che sta trovando crescente riconoscimento e che viene sempre più coinvolta nei processi di cura di determinate patologie. Del resto il rapporto tra musica e medicina è noto e sperimentato fin dall’antichità, già Platone e Aristotele furono infatti, oltre che sommi filosofi e pensatori, anche musicisti e studiosi del fenomeno musicale, pervenendo alla convinzione che le arti del ritmo svolgessero un ruolo decisivo nel determinare la quiete interiore e nel migliorare la serenità e la morale. Una saldatura quella tra cura e musica che si rafforza ulteriormente nel medioevo dove è attestato l’uso da parte di monaci nell’ l'assistenza ai malati e ai bisognosi in generale di determinate composizioni musicali come quelle dal monaco Notker Balbulus.
Un primo approccio scientifico con la redazione del primo trattato di musicoterapia risale alla prima metà del Settecento a cura di un medico musicista londinese, Richard Brocklesby che può essere considerato il primo dei musicoterapeuti. I primi esperimenti di musicoterapia in Italia furono attuati nel Morotrofio di Aversa a partire dal 1843 da parte di Biagio Gioacchino Miraglia.
In epoca contemporanea uno dei libri più noti che racconta in modo magistrale la straordinaria robustezza neurale della musica e i suoi nessi con le funzioni e disfunzioni del cervello è Musicofilia di Oliver Sacks. Scrive Giuseppe Montesano a proposito di questo volume: «Il rapporto tra il cervello e gli organi uditivi, tra questi e le emozioni, la relazione tra eccitazione vitale o depressione ferale e musica, la capacità dell’organismo di autoriparare le proprie ferite neurologiche potenziando alcune abilità per compensare quelle carenti, il rapporto tra la memoria e l’organizzazione del ritmo, sono alcuni dei temi di Sacks: ma, come sempre, quello che rende unici i suoi casi è il fatto che essi sono narrazioni di vite ... Da Musicofilia affiorano temi che sembrano provenire dalle meditazioni di un pitagorico o di un monaco esperto di gregoriano, ma espresse e lette nella lingua delle neuroscienze». Una delle storie più commoventi, tra quelle narrate da Sacks in Musicofilia, è quella di Clive Wearing, un musicista inglese che a 45 anni, a causa di un'encefalite provocata dal virus dell'herpes simplex, è stato colpito da amnesia anterograda e retrograda vedendo ridurre la sua capacità mnemonica a soli sette secondi. La musica, nel suo caso, è in grado di compiere un autentico miracolo, perché, quando il pianista si siede di fronte al suo strumento, riprende contatto con la sua memoria e le sue abilità di strumentista, cantante e direttore d’orchestra sembrano inalterate. Grazie alle testimonianze dei pazienti di Sacks ci troviamo così a riconsiderare in una nuova prospettiva appassionanti interrogativi, e assistiamo ai successi della musicoterapia su formidabili banchi di prova quali l’autismo, il Parkinson, la demenza.
Successi di cui è testimone anche uno dei musicoterapeuti più noti degli Stati Uniti, Sarah Jhonson, che insieme ad altri esperti, ha fatto della musicoterapia una disciplina universitaria. Secondo la musicoterapeuta statunitense la musica non solo ci fa sentire meglio emotivamente ma ripara anche le funzioni fisiologiche. Racconta, a questo proposito, in una intervista a La vangardia, del caso di un suo paziente di nome Gorge colpito da un ictus che lo ha lasciato completamente paralizzato. Sottoposto da parte della Jhonson a sessioni di musicoterapia condotte al suono della sua cetra a 37 corde, George seguiva il ritmo suonando con le spalle un tamburello tenuto da due assistenti. Dopo quattro anni di esercizi, oggi George cammina e guida la sua macchina. Può muoversi con piena autonomia. La storia di George, afferma la studiosa, “dimostra come le connessioni neurali, guidate dal ritmo musicale, sono più facilmente ricomposte”.
Per musicoterapia si intende, secondo la definizione data della Federazione Mondiale di Musicoterapia nel 1996: “l'uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di musicoterapeuti qualificati, con un utente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l'apprendimento, la motricità, l'espressione, l'organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive. La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell'individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l'integrazione intra- e interpersonale e consequenzialmente possa migliorare la qualità della vita grazie a un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico.”
In Italia, dal momento che la distinzione non esiste in altre realtà come la Germania o nei paesi di lingua inglese, si stabilisce una differenziazione tra il ruolo dei musicoterapeuti e quello dei musicoterapisti. Quest’utlima è una figura più tecnica che si occupa della messa in atto del percorso di cura stabilito dal musicoterapeuta. Diventare musicoterapista richiede un percorso di formazione meno lungo senza precedenti professionalizzazioni. Il musicoterapeuta, invece, ha un profilo professionale più specializzato e si assuma la maggior parte della responsabilità del percorso di cura. A lui spetta il compito della diagnosi, stabilire la terapia opportuna e la valutazione dei risultati ottenuti. Come scrive Alberto Caneva nel blog di musicoterapia: “E’ il terapeuta che può scavare nel passato e rimuovere blocchi, interpretare, restituire, guarire”.
Il musicoterapeuta deve necessariamente essere laureato in Medicina, Psicologia, Scienze della Formazione e/o diplomato al conservatorio con una specializzazione in musicoterapia.
Quelle appena elencate sono figure professionali appartenenti a specifici Ordini Professionali (Ordine dei medici, Ordine degli psicologi, Ordine degli psicoterapeuti) che, tuttavia, vietano la possibilità di esibire un titolo non ufficialmente riconosciuto dalla Stato Italiano. In Italia, la musicoterapia rientra tra le attività professionali non regolamentate: Legge 14 gennaio 2013 n. 4 e fa parte delle cosiddette arti-terapie. Per quanto la figura dei musicoterapeuti non sia stata ancora disciplinata, come spesso accade, la prassi vince sul vuoto normativo e se da un lato alcune regioni hanno cominciato ad accreditare la professione, dall’altro un ulteriore riconoscimento comincia ad arrivare nell’ambito della formazione. A partire dal 2008 è stata autorizzata l'attivazione di un corso accademico sperimentale di primo livello presso il Conservatorio di Pescara e successivamente, nel 2005 il MIUR ha dato il via libera per la sperimentazione di un Diploma Biennale di Specializzazione in “Musicoterapia” presso due Conservatori: il Conservatorio di Verona ed il Conservatorio dell'Aquila.
Ancora nel 2011 è stato autorizzato il "Biennio sperimentale di specializzazione in Musicoterapia" (Laurea Magistrale) presso il Conservatorio di Musica "Girolamo Frescobaldi" a Ferrara. Lo studio ed il tirocinio al Biennio sono svolti con particolare riferimento alla Musicoterapia applicata alla Neuroriabilitazione. Anche la Facoltà di Scienze della Formazione di Roma3 organizza un master in artiterapie (tra cui la musicoterapia). Ci sono poi una serie di scuole sparse sul territorio nazionale che consentono di ottenere dei riconoscimenti spendibili professionalmente nella regione in cui operano o diplomi riconosciuti in quei paesi europei in cui la figura del musicoterapeuta è giuridicamente normata.
Esiste anche una Federazione italiana musicoterapeuti che organizza corsi per formare la figura professionale del musicoterapeuta.