È nota la querelle sull’opportunità o meno di considerare le parole di una canzone nella loro letterarietà testuale, prescindendo dalla musica che ne costituisce, obbligatoriamente, parte integrante della struttura comunicativa. Molto spesso, infatti, tolta la melodia, le parole delle canzoni si spogliano del loro pathos e possono apparire ordinarie e ben poco poetiche. D’altro canto, l’Accademia di Svezia ha rintracciato nel canzoniere del menestrello d’America, Bob Dylan, una “nuova poetica espressiva all’interno della grande tradizione canora americana”, capace di “elevare la musica a forma poetica contemporanea”.
Prescindendo dal voler dirimere, in questa sede, la questione, può risultare interessante sviscerare i temi e i testi delle canzoni di Sanremo 2019 anche perché si è sempre detto che il Festival della canzone rappresenta un po’ anche lo specchio della società italiana.
Partiamo da “Abbi cura di me” cantata da Simone Cristicchi e scritta in collaborazione con Nicola Brunialti. Diciamo subito che, tra i testi di Sanremo 2019, Abbi cura di me appare come uno dei più convincenti e meglio strutturati. Un’ode all’amore universale che ha nell’uso adeguato delle figure retoriche e nell’andamento equilibrato e delicato dell’enunciato le sue qualità migliori.
Altra storia per un brano come “Le nostre anime di notte” cantata da Anna Tatangelo. L’unico merito del testo, che presenta evidenti riferimenti autobiografici (leggi telenovela gossip sulla relazione con Gigi D’Alessio), è nel titolo che, tuttavia, è preso in prestito dall’ultimo romanzo di Kent Haruf.
Achille Lauro omaggia Vasco Rossi nel suo brano “Rolls Royce” («voglio una vita così») senza mai eguagliarne, però, la lineare e illuminante scrittura. Il testo risulta inconsistente e impalpabile.
Classico testo che si attaglia alle corde dell’interpretazione di Arisa, “Mi sento bene” ci ammannisce la già vista levità venata da fatalismo che fa gioco al personaggio creatosi dall’interprete. Un testo che senza la musica ha veramente poco da dire.
Una vera cooperativa della scrittura, che comprende Federica Abbate, Rocco Hunt, Cheope e Takagi, si è messa insieme per la stesura di “Per un milione” cantata dagli emergenti BoomDaBash. Un profluvio di parole che tra rime, assonanze e similitudini discutibili si risolve nel tentativo di ripetere i fasti del tormentone estivo Roma-Bangkok.
Pieno stile Amici di Maria De Filippi per la canzone “Parole nuove” cantata da Einar. Il testo descrive un amore adolescenziale facendo ricorso a stilemi e formule scontate e vuote: “Quanto amore lasci mentre ti allontani/E giuro che se te ne vai non ti verrò a cercare”. E tanto basti.
Brano che vuole rappresentare la quota di impegno sociale del Festival è “Argento vivo” cantata da Daniele Silvetri. Il testo tratta il tema della carcerazione giovanile destreggiandosi, però, con qualche difficoltà tra cliché finto sociologici e abusati.
Enrico Nigiotti con “Nonno Hollywood” canta il ricordo del nonno. Il titolo imbarazzante non è neanche la parte peggiore del testo che raggiunge livelli di infantilismo e pedestre superficialità con perle del tipo: “quant'è bella la campagna e quant'è bello bere vino/quante donne abbiam guardato abbassando il finestrino”.
Altro infausto prodotto del talent di Maria De Filippi, Federica Carta, in collaborazione con Shade, canta “Senza farlo apposta”, che già nel titolo denuncia una excusatio nei confronti dell’uditorio costretto a sorbire l’ascolto di versi tipo: “Da quando hai buttato le Barbie/Per giocare con le persone”, o ancora “Se avessi modo dentro la testa/Cancellerei la cronologia”
Altro talent, ma Rai, ha portato alla ribalta il celebre trio de Il Volo in gara con “Musica che resta”. Un brano che rispetta totalmente lo stile dei tre sedicenti tenori, capaci, come pochi, di rinverdire i fasti della più trita e polverosa tradizione della canzone italiana. “Come è bello perdermi dentro ai tuoi occhi/Sono io il tuo sogno? Quando resti sveglia”. Come dire degni emissari nel presente del passato remoto.
Per quanto destinato ad esiti poco felici, bisogna riconoscere uno sforzo di elaborazione e originalità a Ghemon che è presente a Sanremo 2019 con la canzone “Rose viola”. Come rappresentativa epitome degli esiti poco felici di cui sopra, si segnala un verso su tutti: “frasi squisite che ora sanno di cibo per gatti”.
Proseguendo nella sua metamorfosi da neomelodico a cantautore con una coloritura world, Nino D’Angelo porta a Sanremo la canzone “Un’altra luce” cantata in collaborazione con il rapper Cori. Un testo in dialetto, che si avvale della proverbiale musicalità della lingua partenopea, mettendo in scena un confronto intergenerazionale sul tema della speranza.
Ennesima variazione sulla canzone amorosa per gli Ex Otago con “Solo una canzone”. Il testo vuole essere una celebrazione dell’amore che resiste al tempo e alle ferite della noia ma usa versi come “dormir con te stanotte è importante/perché ci vogliamo bene” e non occorre aggiungere altro.
Nei primi anni 80 avevamo Eugenio Finardi che cantava la struggente “Laura degli specchi”, oggi Irama, con “La ragazza con il cuore di latta”, ci ricorda che viviamo in un altro tempo probabilmente più povero di talento. Lo spunto del testo è la storia vera di una ragazza oggetto di abusi da parte del padre e fragile di cuore, la trasposizione del tema nel brano risulta senza alcun guizzo poetico, senza la capacità di sollecitare la sensibilità dell’ascoltatore e ce ne vuole vista la materia di partenza.
“Cosa ti aspetti da me” cantata da Loredana Bertè è il classico testo sul disagio esistenziale e le disillusioni della vita in salsa Vasco, che la cantante calabrese ci ha abituati ad ascoltare. Un insopprimibile senso di déjà vu è quello che rimane.
Bungaro firma il testo di “Aspetto che torni” cantata da Renga, una canzone che ripercorre uno dei topos cari al palco dell’Ariston: la mamma, il suo ricordo e la sua assenza. Una canzone che vorrebbe commuovere, ma che rimane avvinghiata al patetico per sfociare nel lamento.
“Soldi”, il brano che porta in gara Mahmood, affronta il tema dell’interesse economico che si cela dietro ad un rapporto apparentemente sincero. Una serie di pensieri sparsi in cui trova cittadinanza un po’ tutto.
Paola Turci sale sul palco dell’Ariston con “L’ultimo ostacolo”, un brano che presenta un testo dedicato alla memoria del padre e che vuole essere una riflessione saggia e distaccata sulle difficoltà del vivere. Un testo lineare, probabilmente funzionale alla melodia, che anche senza vertici poetici riesce nel suo onesto scopo.
Gli Zen Circus con “L’amore è una dittatura” non rinunciano alla loro vena folk e punk e presentano un testo assai denso che si segnala per volontà di costruzione e sforzo di pensiero.
Motta, esponente dell’indie italico, canta “Dov’è l’Italia”, un testo che fumosamente mescola amore e vaghe notazioni sociali, come, ad esempio, il tema migranti. Il tutto si risolve in un inespresso desiderio di profondità
Tematiche sociali e matrice politica esplicita per i Negrita che cantano “I ragazzi stanno bene”. Destinata a suscitare dibattito l’esplicita invettiva contro Salvini: “Dei fantasmi sulle barche e di barche senza un porto/Come vuole un comandante a cui conviene il gioco sporco”. Il testo risulta, in ogni caso, poco incisivo e poco originale.
Dopo aver vinto il Festival tra le nuove proposte, Ultimo entra quest’anno tra i big con la canzone “I tuoi particolari”, un testo che narra le sofferenza per un amore perduto e che esordisce con il verso per certi aspetti tombale e definitivo: “È da tempo che non sento più/La tua voce al mattino che grida «bu»”.
In pieno stile stream of consciousness, ma nel caso specifico è bene puntualizzare che trattasi di coscienza alterata, il testo di “Un po’ come nella vita” scritto da Briga per Patty Pravo. Un brano che non si sa davvero da che parte prendere e soprattutto dove intende andare a parare. Tra le altre perle: “Ricorda di giocare/E di portarti altrove/Io resto qui a capire come illuminarmi il cuore”.
Non presenta problemi esegetici “Mi farò trovare pronto” di Nek, i problemi sono di costruzione del brano che appare povero e malriuscito. A titolo d’esempio basti citare: “Mi farò trovare pronto/All’impatto col tuo nome/La tua firma sulla pelle/È la mia rivoluzione”.
A consuntivo di questa piccola guida sui testi di Sanremo 2019 bisogna ammettere che, se il Festival intende essere una rappresentazione dello stato dell’arte della musica pop italiana e con tale criterio, del resto, è stato composto il cast di partecipanti che spazia dall’indie al rap, il panorama offerto dalla lettura dei testi denuncia una scarsa e poco originale vena incapace anche di un solo accenno di dignità poetica e letteraria. Si spera che il potere salvifico della musica sia capace di regalare un colpo d’ala a parole che faticano a camminare da sole.