In un volume di Alan Lomax pubblicato da Quodlibet la straordinaria vicenda umana e artistica di Mister Jelly Roll Morton, il pianista che insieme ad un pugno di musicisti creoli nella New Orleans degli inizi del ‘900 inventò il jazz, “una delle meraviglie del secolo” come la definisce l’illustre etnomusicologo.
Era un giorno di maggio del 1938 quando mister Jelly Roll Morton, nel suo abito migliore senza una piega e con il suo sorriso in cui brillava il celeberrimo diamante incastonato in oro in un incisivo, fece irruzione nel reparto Musica della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti per rivendicare il suo ruolo nella nascita del jazz e raccontarne la storia autentica. Un appassionato resoconto della sua narrazione, che era insieme storia personale e di una grande città meticcia come New Orleans nonché di uno di quei rari e preziosi momenti della storia in cui ha inizio qualcosa di veramente nuovo, è contenuto nel volume di Alan Lomax Mister Jelly Roll. Vita, fortune e disavventure di Jelly Roll Morton, creolo di New Orleans, «Inventore del Jazz», edito dalla valente case editrice Quodlibet.
Lomax racconta del sorriso del musicista creolo che illuminò la sala mentre davanti al pianoforte a coda, per nulla intimidito dalla solennità del luogo poiché conscio che la sua musica aveva girato il mondo, modula i suoi morbidi accordi e ritmi da osteria. Padroneggia la tastiera con quel suo stile unico proprio di chi impara a suonare il pianoforte attraverso esperienze ed esercizio di vita. “Lo senti questo riff?”, disse rivolto allo studioso. “Ora lo chiamano Swing, ma è solo una piccola cosa che ho inventato un sacco di tempo fa. Già, credo che quel riff sia tanto vecchio che ormai gli sarà cresciuta la barba. Qualunque cosa suonino oggi quei ragazzi, non fanno che suonare del Jelly Roll”.
Jelly Roll Morton con i suoi Red Hot Peppers fu, di fatto, il primo e più influente compositore di jazz, anche se questa primogenitura fu presto dimenticata, già a partire dalla generazione della Grande Depressione. Quando nel 1938 rivendicò la paternità della sua creatura musicale davanti a Lomax, il pianista e compositore statunitense suonava per un dolce e un caffè in uno squallido locale notturno di Washington. Scrive Lomax “Anni di povertà e di oblio non avevano però offuscato il suo brillante talento pianistico, né mortificato la sua autostima. Venne alla Biblioteca del Congresso per eternarsi nei suoi archivi, per crearsi la propria nicchia nella Storia e, incidentalmente, per porre le basi della propria lotta volta a riconquistare la vetta del successo”. Questo creolo solitario, senza un soldo in tasca e senza un amico al mondo, stava abbozzando una strategia per far causa all’agenzia Mca, Music Corporation of America, e all’Ascap, American Society of Composers, Authors and Publishers.
L’etnomusicologo lo descrive come un vecchio con un fascino terribile e i modi da gentiluomo del Sud, definendolo, con felice intuizione, come una sorta di Benvenuto Cellini creolo. Seguendo il racconto traboccante e pieno di egotismo di questo singolare musicista, Lomax ricostruisce una storia fatta “di nomi, di amici morti da lungo tempo e di locali silenziosi da mezzo secolo, canzoni e melodie e ben precisi stili musicali di antichi esecutori di New Orleans, dimenticati da tutti tranne che da Morton: lui ricordava tutte queste cose come se fossero accadute il giorno prima, colmando abilmente qualche fastidiosa lacuna della sua storia con i successi dei suoi amici, costruendo una leggenda”.
Man mano che la leggenda prende corpo sulla tastiera di quel pianoforte a coda del Congresso riprendono vita tutta una serie di personaggi unici e dall’aurea mitica di cui si sostanzierà il mito stesso del jazz: prostitute sontuosamente adorne di diamanti e piume, scaricatori di porto, rudi e poco raccomandabili tipi di Rampart Street, splendide meticce dagli sgargianti turbanti, jazzisti di ogni aspetto e provenienza. Proprio da questo singolare crogiolo umano a New Orleans agli inizi del ‘900 prese forma il jazz, un genere che avrebbe conquistato il mondo e che vedeva le sue origini in un pugno di musicisti creoli.
Come Jelly Roll è il «padre» del pianoforte hot, così il nero Buddy Bolden ha aperto la strada agli altri trombettisti hot, e Papa Tio «ha insegnato a ciascuno di noi come si suona il clarinetto». Tutti uomini che si conoscevano tra loro e che avevano condiviso la vita dei quartieri poveri di New Orleans fatta di gang e violenza. Sono loro a dar vita a quella creazione genuinamente americana chiamata hot jazz inizialmente disprezzata da esteti e moralisti. Come scrive Lomax: “Oggi il jazz dà colore a gran parte della musica statunitense e a molta musica popolare in tutto il mondo. Forse un fenomeno del genere non si era mai verificato prima. Forse nessuna musica, nessun prodotto dello spirito umano si è mai diffuso fra tanta gente in così breve tempo. In questo senso, il jazz è una delle meraviglie del secolo”.
La vita di Jelly Roll copre tutta l’età del jazz e nella trama delle sua ricostruzione emerge chiara la caratteristica fondamentale che distingue il jazz da altre forme musicali come gli spiritual, il ragtime o il blues, ovvero il fatto di riportare a unità le più disparate influenze musicali come quelle iberiche, africane, cubane, parigine, martinicane e americane. “A New Orleans avevamo gente di tutti i tipi”, diceva Jelly; “c’era il francese, lo spagnolo, quello delle Indie Occidentali, l’indiano d’America; e ci mescolavamo tutti partendo da un’assoluta uguaglianza”.
Una alchimia unica e irripetibile sapientemente operata da uomini come Jelly Roll Morton che nella loro musica impressero il portato delle loro esistenze facendone non una mera propaggine afroamericana o un semplice amalgama di elementi diversi, ma una musica nuova di (e da) New Orleans: un contrappunto creolo di protesta e d’orgoglio, pur senza parole, che fece della città sul Mississippi una sorta di piccola, subtropicale Atene della musica popolare del mondo intero. Un momento esaltante e straordinario che trova in questo singolare racconto, pur tra millanterie e ricostruzioni tendenziose, un altrettanto straordinario e veritiero affresco che non manca di avvincere e affascinare.