In questa lezione ci soffermiamo sulle risorse cui si può ricorrere per affrontare le difficoltà più persistenti che si presentano nello studio pianistico.
In alcuni casi, un cambio di prospettiva radicale può risultare risolutivo nell’affrontare un problema. Quando un passaggio risulta particolarmente ostico, per quanto lo si sia studiato con diverse tecniche e a lungo, la prima soluzione cui ricorrere è provare a cambiare diteggiatura: in molti casi, infatti, durante la prima lettura, si opta per una diteggiatura pensata in funzione di una determinata velocità (solitamente bassa) e con una dinamica non ancora affinata. Nel momento in cui si prova a velocizzare il brano perfezionandone i colori, la diteggiatura scelta all’inizio spesso rivela tutti i suoi limiti. Quello che si può ricavare d questa osservazione è il consiglio di non affidarsi solo al proprio istinto, ma fare ricorso sempre al proprio raziocinio o, ancora meglio, in caso di dubbio, all’aiuto del proprio insegnante. Ovviamente spetta a quest’ultimo non intestardirsi sul diteggio personale, che più volte non si adatta per nulla ad una mano diversa dalla propria. Quest’ultima affermazione potrebbe apparire del tutto superflua, ma bisogna constatare che l’autoreferenzialità rappresenta purtroppo un male assai diffuso.
Il secondo passo da compiere in presenza di difficoltà persistenti consiste nell’esaminare il passaggio suddividendolo in maniera differente, vale a dire preferendo la comodità esecutiva rispetto alla logica musicale. Se si dimenticano momentaneamente le esigenze espressive del compositore, ci si può focalizzare con maggiore attenzione sulla parte tecnica, e una concentrazione più efficace permetterà di isolare il problema e risolverlo riducendolo ai minimi termini.
Quella appena enunciata è modalità di studio che si discosta dalle raccomandazioni più volte espresse nelle nostre lezioni di avere come finalità ultima la musicalità, ma proprio in questo consiste il cambio di prospettiva, cioè nel capovolgimento del modo consueto modo di affrontare le difficoltà. Nel momento in cui si avrà la capacità i padroneggiare il passaggio in questione, non risulterà complicato riportarlo nella giusta prospettiva musicale.
Infine, il terzo step prevede di studiare a fondo l’altra mano, ovvero quella con il passaggio più semplice e di conseguenza quella di solito trascurata. Una esecuzione sicura esige il funzionamento compiuto di ogni elemento e in molti casi, affinando una parte, automaticamente si sistema anche l’altra; questo perché, trasferendo l’attenzione all’altra mano, si riduce l’ansia prestazionale, troppo spesso fonte di innumerevoli problemi tecnici. Infatti, talvolta il principale nemico è da ricercare in sé stessi, nella propria paura dell’errore, che mina la propria sicurezza e compromette inevitabilmente l’esecuzione. Qui si entra in ambito più prettamente psicologico che pratico, che non può essere trattato in questo contesto in questo contesto. Esistono numerosi libri che trattano in maniera specialistica questo argomento, alcuni veramente validi, qualcun altro del tutto inutile. Affrontando l’argomento, in ogni caso, bisogna sempre partire dal presupposto che la musica è in grado di curare l’anima meglio di qualunque parola o indicazione.