In questa lezione ci concentriamo sul significato e il ruolo che bisogna attribuire alla tecnica pianistica, un elemento basilare che bisogna inquadrare al meglio e che acquista senso solo all’interno di un più ampio discorso che è quello dell’idea musicale.
La tecnica pianistica è la capacità di ottenere dal pianoforte il suono giusto al momento giusto. Per dirla con altre parole, è la capacità di realizzare la musica, il modo in cui interagiamo con il nostro strumento, di dire ciò che vogliamo dire, di parlare attraverso la musica. Come un qualsiasi strumento, la tecnica non è che un tramite per raggiungere un fine: la musica. Uno strumento, per l’appunto, è semplicemente un mezzo senza il quale non possiamo svolgere un determinato compito: gli strumenti medici ci consentono di esercitare la medicina, gli strumenti scientifici ci danno accesso a fatti che i sensi da soli non sono in grado di percepire e gli strumenti musicali ci consentono di fare musica, che altrimenti non potrebbe esistere.
Come mezzo, non come fine, la tecnica implica un oggetto musicale. Ogni volta che suoniamo una nota in successione esprimiamo un pensiero musicale. Se quel pensiero è un'idea musicale coerente dipende dalle note stesse e dalla loro articolazione. Quest'ultima è tecnica. La tecnica pianistica può essere pensata come l'“interfaccia” tra un'idea musicale e la musica prodotta dal pianoforte.
La tecnica del pianoforte rappresenta il nostro controllo sullo strumento. Dopotutto, l'aereo più sofisticato del mondo è inutile se non sai come pilotarlo. Così è con il pianoforte.
Idealmente si potrebbe pensare che, eliminando questo anello nella catena musicale, potremmo avvicinarci di un passo alla musica. Ci sono stati vari tentativi di realizzare brani musicali su pianoforti controllati meccanicamente o elettronicamente, e persino interi brani composti per una esecuzione esclusiva da parte di macchine. Tutti questi tentativi hanno prodotto una sola consapevolezza: le macchine suonano in modo meccanico e la musica sembra aver bisogno della componente umana, vale a dire emotiva, anche sotto forma di imperfezione, potremmo forse dire.
Si deve sempre stigmatizzare la tendenza a trasformare la tecnica pianistica in qualcosa di meramente meccanico. Sembra quasi che, nel momento in cui le macchine sono state inventate per sostituire il lavoro degli umani, gli esseri umani a loro volta hanno cominciato ad aspirare a diventare macchine, ponendo la perfezione meccanica come standard. La perfezione meccanica è desiderabile solo nella misura in cui serve a esprimere la musica in modo più completo.
Un altro parallelo che può illuminare la reale natura tecnica strumentale rispetto alla musica è quello che si può istituire con il vocabolario rispetto al linguaggio: migliore è la propria tecnica, più si è in grado di esprimersi. Un cantante che fatica a raggiungere le note alte o una persona che balbetta e inciampa in una lingua straniera non è in grado di trasmettere il proprio messaggio in modo chiaro. Eppure, un repertorio di parole non garantisce affatto che si abbia qualcosa da dire. La tecnica è mera potenziale espressivo, così come il QI non è vera conoscenza ma mera capacità potenziale di imparare e risolvere problemi.
C'è, tuttavia, un pericolo specifico cui si può andare incontro nel caso della tecnica pianistica rispetto al repertorio di parole: praticare la tecnica da sola non è solo una contraddizione in termini, è quasi sempre del tutto dannoso. Troppo spesso la tecnica pianistica è perseguita come fine a se stessa. Gli studenti praticano diligentemente le loro scale, arpeggi e ottave senza considerare i suoni che stanno producendo per poi trasportare questo approccio nell’esecuzione del repertorio. È estremamente difficile ristabilire l'ordine musicale in questi pianisti e insegnare loro l’ascolto, vale a dire ad acquisire una tecnica musicale.
D'altra parte, non bisogna neanche considerare qualsiasi esibizione di tecnica pianistica come intrinsecamente sgradevole. Molta musica per pianoforte, in particolare del 19° secolo, richiede un enorme bagaglio tecnico al pianista. Bisogna ammetterlo: il virtuosismo è elettrizzante. È sempre affascinante assistere alle imprese umane nell'atletica, nella danza e nella musica. Ciò che distingue la musica da uno spettacolo circense è che è (o dovrebbe essere) eseguito al servizio di un messaggio artistico e non per mera esibizione.
La tecnica è una concomitanza necessaria dell'arte, perché l'arte senza tecnica, come ha dimostrato il secolo scorso, è limitata nel suo potere comunicativo nel migliore dei casi e vuota nel peggiore. Parte della bellezza della grande musica risiede nella sintesi di cervello, sentimento e dita. La bella musica è molto più della semplice atletica, ma anche i risultati atletici non dovrebbero essere scontati. Ciò che lo rende significativo (e in effetti paradossalmente più “atletico”) è quando è fatto con eleganza e finezza.
A conferma di quanto fin argomentato, arrivano in soccorso le sagge parole di Nadia Boulanger, forse la più grande insegnante di musica del XX secolo, in risposta al tentativo fallito di una pianista di superare le sue capacità: “La tecnica è una piccola cosa moooolto piccola. [lunga pausa] Ma senza di essa... non puoi fare niente”.