Diversità delle dita e resa pianistica: una riflessione

Riportiamo le stimolanti considerazioni di Heinrich Neuhaus sull’importanza delle diversità delle dita della nostra mano che sembrano avere una costituzione ideale per essere adoperata al pianoforte.

 

diversità delle dita

Uno dei requisiti essenziali richiesti ad ogni buon esecutore è l'uniformità del suono. Un buon pianista deve essere in grado di suonare in maniera uniforme qualsiasi cosa sia esso un elemento tecnico basilare come le scale e gli arpeggi o degli accordi complessi e articolati. Questa esigenza imprescindibile, secondo una vecchia impostazione, sembrava contrastare con l’anatomia della mano poiché si nutriva la falsa convinzione che ottenere un suono uniforme richiedesse, in linea teorica, delle dita uniformi.

Riferisce in maniera arguta questo pio desiderio nutrito da didatti e allievi dell’epoca Heinrich Neuhaus, che scrive: “fin dall'infanzia e dalla giovinezza sentivo dire nell'ambiente degli insegnanti e degli allievi che sfortunatamente il primo dito si trova in una posizione così straordinaria e così "forte" mentre, per esempio, il quarto dito è così debole e infelice, stretto fra il terzo e il quinto, i quali a loro volta si trovano anch'essi in una posizione svantaggiosa; al secondo dito già va meglio, e sarebbe splendido se tutte le dita fossero uguali per natura e collocate in uguali posizioni. Quanto sarebbe facile allora suonare bene!”.

In realtà, la questione impostata nei termini appena accennati è semplicemente mal posta, in quanto bisogna considerare ogni dito capace di produrre un suono di qualsiasi potenza. Messa in questi termini, tutto diventa chiaro visto che da questo assioma ne consegue che tutte le dita sapranno produrre suoni di pari potenza.

 

diversità delle dita

Assecondare la natura della mano

 

Uno dei primi e più conseguenti sostenitori del valore della disuguaglianza delle dita fu Chopin. Come sappiamo, infatti, il grande musicista polacco suggeriva ai propri allievi di impostare la mano sulla scala di Si maggiore, contrariamente alla prassi, ancora oggi in voga e razionalmente più semplice, di utilizzare per tale impostazione la scala di Do maggiore. La scala raccomandata da Chopin consente di posare le mani sulla tastiera in modo da toccare il gruppo di tre tasti neri con le dita più lunghe, cioè indice, medio e anulare. Questa posizione favorisce un’estensione in scioltezza perché, come detto, asseconda una postura anatomica della mano.

Il suggerimento di Chopin perseguiva un criterio di stabilità e naturalezza della mano, ma non solo. La scelta del tipo di diteggiatura è dettato anche dalle diverse esigenze di tocco che si vuole soddisfare. Proprio queste diverse esigenze possono essere rispettare al meglio grazie alla naturale anatomia asimmetrica della mano umana.

Illuminante, come sempre, su questo tema ancora Neuhaus quando osserva: “La nostra fortuna consiste proprio nel possedere cinque dita diverse, e neanche cinque, ma in realtà tutte e dieci diverse, visto che la collocazione a specchio delle mani sulla tastiera, simile all'esecuzione contemporanea del tema e del suo rivolto in una fuga, da dieci splendide posizioni individuali differenti l'una dall'altra. Immaginate se avessimo due mani destre e due mani sinistre; quanto peggiore sarebbe la nostra posizione! Un pianista esperto apprezza soprattutto che ognuna delle sue dita possieda una determinata individualità, che ognuna abbia proprie funzioni, preferenziali rispetto alle altre, ma che ognuna, nello stesso tempo, possa in caso di necessità sostituire le proprie sorellastre”.

 

diversità delle dita

Diversità delle dita e diteggiatura

 

La mano di un buon pianista, in altre parole, sfrutta e fa tesoro della diversità della dita, che nella loro individualità, se ben organizzate, danno vita ad un organismo coeso, una collettività compatta.

“Ogni dito rappresenta un’individualità e ha un determinato carattere” al punto che durante le lezioni Neuhaus definisce il pollice della mano sinistra il "violoncellista" o il "cornista", visto che nella "partitura" pianistica esso esegue la parte che nell'organico orchestrale eseguono il corno e il violoncello. È importante sottolineare ancora, come fa il pianista nato a Kiev, che “la comprensione e la sensazione dell’individualità […] delle singole dita contribuiscono efficacemente a trovare una buona diteggiatura”.

Il grande didatta russo stigmatizza, in particolare, la frequente sfiducia nei confronti del quinto dito, attestata, ad esempio, da numerose revisioni, soprattutto di opere di Chopin. A questo proposito, non si perita di definire “antipianistico e innaturale” sostituire il terzo dito al quinto della mano sinistra nell’esecuzione del basso, nel battere di un accompagnamento in tempo ternario.

 

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